Che Gianfranco Fini sia un leader politicamente al tramonto, lo si capisce dalle profonde rughe che solcano la sua fronte, dalla deriva che ha preso la sua vita privata e dalle sue sempre più infelici prese di posizione politiche, che vanno dalla proposta di concessione del voto amministrativo agli immigrati al boicottaggio della Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, dal giudizio sul fascismo “male assoluto” all’idea di introdurre l’insegnamento del Corano nelle scuole italiane, dalle continue inversioni di marcia sulla legge elettorale al confuso navigare a vista in tema di riforme istituzionali.
Ma tant’è. L’uomo ormai è salito su di un treno in corsa, senza guida, che sfreccia veloce solcando le vaste pianure dell’ignoto, inevitabilmente destinato a schiantarsi alla fine del binario morto sul quale è stato dirottato.
Se il problema fosse soltanto questo, poco male. I leader politici, in Italia come nel resto del mondo, nascono e muoiono e Fini, dopo vent’anni di guida autocratica di Alleanza Nazionale, potrebbe anche andarsene in pensione senza troppi rimpianti da parte dei più.
Il problema è che con lui ad andare in pensione rischiava di essere proprio quella Destra in cui lui aveva smesso da tempo di riconoscersi e di cui, con ostinazione e pervicacia degna di miglior causa, ha smantellato anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, ogni caposaldo etico e identitario.
Per carità. Fini ha il sacrosanto diritto, se si è convertito all’andreottismo, di morire democristiano, trascinando con sé quelli che in AN, un po’ per paura, un po’ per vigliaccheria, un po’ perché timorosi di perdere le rendite di posizione acquisite nel tempo, saranno disposti a seguirlo nel Partito Popolare Europeo.
Quello che non poteva fare era distruggere un mondo, una cultura, un popolo, ma soprattutto un “sogno”: quello di una Grande Destra, intransigente sui principi e sui valori, nazionale e sociale, rivoluzionaria e conservatrice, laicamente cattolica e orgogliosa delle proprie radici, vicina agli ultimi e fieramente anti-moderna, giustizialista e ontologicamente onesta che rappresenta ancora, piaccia o non piaccia, la maggioranza silenziosa e operosa di questo Paese.
Quella Grande Destra che dall’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e dal Movimento Sociale di Giorgio Almirante, passando per Leo Longanesi, Giovannino Guareschi, Indro Montanelli, su su fino a Marcello Veneziani, pur nella diversità delle storie, dei momenti storici e delle sensibilità, ha incarnato e incarna l’idem sentire di un’intera Nazione.
Quella Destra che oggi finalmente si riconosce ne La Destra di Francesco Storace e di tutti quelli che con lui, senza paracadute, hanno deciso di accettare la sfida.
E’ una Destra che con Fini, Casini e Bossi non ha nulla a che spartire. E che, come un fiume carsico, è finalmente sgorgata dai meandri più reconditi della società civile italiana, con la forza prorompente delle sue ragioni.
Stanno cercando di ucciderci, ma non ci riusciranno. Basterà attendere con pazienza la fusione a freddo del PDL per veder passare, comodamente seduti sulla riva del fiume, molti "pentiti" di ritorno, accanto al cadavere della Seconda Repubblica.
La Terza, che sta per nascere, ci vedrà certamente protagonisti. Con o senza sbarramento o voto di preferenza.
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