E’ una strana Italia quella che traspare in questi ultimi giorni. E’ l’Italia delle piazze, quella degli studenti e quella dell’opposizione. Ambedue monche però. Quella degli studenti di sinistra, strumentalizzati dal Partito Democratico che li utilizza come massa di manovra contro Palazzo Chigi (ma del resto non è una novità, fu così, in parte, anche nel ’68), e quella dell’opposizione che vede in piazza in realtà solo il veltronian partito senza sinistra radicale né Italia dei Valori. Insomma un’Italietta che litiga sui numeri ma non sulla sostanza dei problemi. Sembra quasi di assistere ad una lite di condominio dove i contendenti si trincerano dietro il colore della facciata del palazzo da rifare ma non discutono e non affrontano il problema delle condutture che fanno acqua da tutte le parti e dei solai da rifare. Mentre si rischia costantemente il crollo. E più fanno questa sceneggiata pulcinelliana più i sondaggi danno numeri impietosi sia per il governo che, soprattutto, per l’inesistente opposizione. Richelieu |
mercoledì 29 ottobre 2008
IL GIOCO DELLE TRE CARTE
sabato 25 ottobre 2008
QUOS PERDERE VULT, DEUS DEMENTAT
mercoledì 22 ottobre 2008
ENERGUMENO TASCABILE
In senso estensivo, il significato del termine ENERGUMENO tratto dal Dizionario De Mauro, è il seguente: Energumeno è “chi mostra una grande forza fisica”.
TASCABILE significa “piccolo, di modeste dimensioni”.
Ora, che il Ministro Brunetta sia piccolo non è un un’offesa, è un fatto. Anch’io sono piccolo e non mi sognerei mai di sostenere il contrario né di sentirmi offeso se qualcuno me lo facesse notare.
Che poi il Ministro Brunetta sia un energumeno nel senso anzidetto lo dimostra il suo fisico possente, fatta eccezione per gli arti, che ne denota un grande vigore fisico.
Quindi nella definizione di “energumeno tascabile” fatta di Brunetta da Massimo D’Alema non ci trovo nulla di offensivo.
Una simpatica definizione caricaturale all'indirizzo di un buffo personaggio politico dei giorni nostri che si crede Napoleone. Tutto qui.
sabato 18 ottobre 2008
MODIFICARE LA LEGGE 81/93 SULL'ELEZIONE DIRETTA DEI SINDACI?? UN COLPO DI STATO IN GUANTI DI VELLUTO!
Ebbene sì, questa volta il Senatore Balboni l’ha detta grossa, sostenendo sul “Resto del Carlino” di oggi di essere favorevole alla proposta di modifica della legge 81/93 con la quale vengono eletti i Sindaci, i Presidenti delle Province, i Consiglieri Comunali e quelli Provinciali.
Una legge elettorale che fino a ieri era considerata, a detta di tutti, una delle migliori – se non la migliore – tra quelle in vigore nel nostro ordinamento giuridico e che per quindici anni ha garantito al tempo stesso governabilità e rappresentatività negli Enti Locali, assicurando la stabilità degli Esecutivi.
Se ho ben capito, la proposta di riforma riguarderebbe la parte della legge che disciplina le modalità di elezione nei Comuni sopra i 15.000 abitanti, dove è attualmente previsto il meccanismo del ballottaggio, nell’eventualità in cui al primo turno nessuno dei candidati a Sindaco ottenga la maggioranza assoluta del 50% più uno dei voti validi.
La proposta in discussione in Parlamento punterebbe ad abbassare al 40% il quorum per essere eletti, evitando così il secondo turno di voto.
Tutto qui? Sembrerebbe di sì, anche se le motivazioni addotte dal Senatore a difesa di questa ipotesi sono assolutamente risibili.
Dice il Nostro che “oltre ad un risparmio di spesa si eviterebbe il paradosso di vedere al secondo turno un candidato prendere meno voti che al primo”.
Quanto al primo punto, quello relativo al “risparmio di spesa”, vorrei suggerire a Balboni, dato che c’è, di proporre “tout court” l’abolizione delle elezioni amministrative. Lui, che prima di diventare un antifascista militante inneggiava al Duce dovrebbe averne titolo, visto che in Italia, per vent’anni, durante il fascismo, non si votò, con indubbi enormi risparmi di spesa.
Purtroppo, caro Senatore, la democrazia (quella pulita, non quella degli sprechi e del clientelismo) ha un costo, al quale può rinunciare solo chi la democrazia non sa neanche dove stia di casa.
E che di democrazia si tratti e non di brustoline ce lo conferma la seconda motivazione, ancor più patetica della prima. Quella cioè per cui “si eviterebbe il paradosso di vedere al secondo turno un candidato prendere meno voti che al primo”.
Chi non ha l’anello al naso può facilmente capire come questa sia la conseguenza fisiologica di ogni elezione a doppio turno: al primo turno gli elettori votano il loro candidati di bandiera, al ballottaggio fanno un’altra scelta: o decidono di votare per il candidato politicamente più “vicino” alla loro visione del mondo, anche se non si identifica con essa o vanno al mare, se non si riconoscono in alcun modo così nell’uno come nell’altro dei due pretendenti rimasti in lizza.
Dunque il fatto che al ballottaggio i votanti calino rispetto al primo turno è assolutamente fisiologico e fa parte delle regole del gioco. Accade così in ogni parte del mondo in cui esistano leggi elettorali a doppio turno, a partire dalla Francia.
E allora dove sta la verità? La verità è un’altra, che ovviamente il Senatore Balboni si è ben guardato dal dire. E sta tutta nel tentativo del PDL (e forse anche del PD) di introdurre anche qui, come già è stato fatto con la legge elettorale nazionale e come probabilmente accadrà con quella per designare i parlamentari europei, meccanismi elettorali pensati per uccidere nella culla quel po’ di sovranità popolare che sopravvive ancora, malgrado tutto, nel nostro Paese.
Abbassare il quorum al 40% significherebbe consentire ad un candidato di essere eletto già al primo turno non con la maggioranza dei voti validi, ma con la minoranza maggiore. Un Sindaco di minoranza, insomma, che potrà contare su di una maggioranza politica in Consiglio solo grazie al premio in seggi assegnato dalla legge alla coalizione che esprime il candidato vincente.
In poche parole, un’autentica truffa.
Questo poi, consentirebbe ai partiti maggiori, attraverso l’appello al voto utile (“siamo vicini al 40%! Votate per noi che ce la possiamo fare…non disperdere il vostro voto!”) di dare la mazzata definitiva alla rappresentanza istituzionale delle formazioni politiche minori.
Chiaro no? Anche questa proposta, come tante altre, è la rappresentazione plastica di cosa un regime oligarchico, sempre più vorace e famelico, come quello che si sta consolidando in Italia attraverso le leggi liberticide del PDL e la più o meno tacita compiacenza del PD, possa concepire: distruggere la Democrazia nel nostro Paese senza bisogno di sparare e di uccidere.
Un vero e proprio colpo di Stato in guanti di velluto!
CONGRESSO PROVINCIALE DI FERRARA
venerdì 17 ottobre 2008
PDL: NE HANNO AZZECCATA UNA!!! (AN PERMETTENDO...)
martedì 14 ottobre 2008
A CENTO TORNANO I "FRATELLI COLTELLI"
domenica 12 ottobre 2008
HAIDER, UNA MORTE COMUNE...
E' morto senza scorta. Jorg Haider, leader di quella che la solita nomenklatura intellettuale chiama l’ultradestra austriaca, è scomparso tragicamente come una persona comune. Di lui si sono spese le peggiori parole, razzista, xenofobo e chissà che altro, eppure nel suo status non c’era traccia dell’uomo che, a capo di una comunità di forte consenso elettorale, sembrava far impallidire l’Europa e il mondo.
Senza neppure un autista ad accompagnarlo a casa dopo l’ennesimo comizio. Quanti ce ne sono così in Italia?
Piovono commenti grossolani e nessuno che si chiede il perché di un successo travolgente nel popolo, non nei palazzi del politicamente corretto. Noi, più semplicemente, crediamo che Haider abbia interpretato la voglia di una parte del suo popolo di ribellarsi al pensiero unico, di riappropriarsi di un’etica che proprio nei giorni della crisi finanziaria mondiale torna alla ribalta come necessità di riscatto morale.
Non profettizzava, Haider, l’Europa dei mercanti, e credo che tutti gliene debbano rendere atto, almeno ora che non potranno più strillare contro la sua presenza ingombrante.
Sono stato suo collega al comitato delle regioni d’Europa, come presidente della mia regione e lui governatore della Carinzia. E’ stato capace di cadere e rialzarsi, di combattere, di vincere. Probabilmente avevamo un concetto differente di amore per la propria Nazione, e questo è ovvio. Ma di fronte a uomini così, capaci di correre per affermare un’idea, mille volte meglio che quattro quacquaraquà che dalle nostre parti idolatrano il capo sperando di essere degni di trovare un posto a corte, bisogna togliersi tanto di cappello.
No, non conta solo il potere. E nemmeno l’auto blu.
Onore e dolore per un politico che non si nascondeva.
sabato 11 ottobre 2008
DEMOCRAZIA OD OLIGARCHIA?
“La democrazia rappresentativa… è una parodia, una finzione, un imbroglio, una truffa. E’ un ingegnoso sistema per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso. Perché non è la democrazia. Ma un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, politiche ed economiche fra loro strettamente intrecciate, legate spesso a organizzazioni criminali e, in parte, criminali esse stesse, che opprimono l’individuo singolo, che rifiuta di infeudarsi, di sottomettersi ad umilianti assoggettamenti, di baciare babbucce…Il voto del cittadino singolo, libero, non intruppato, si diversifica e si disperde, proprio perché libero, laddove gli apparati dei partiti prima scelgono i candidati e poi, facendo blocco, anche gli eletti…Con le elezioni…le oligarchie politiche si impadroniscono innanzitutto dello Stato e delle sue Istituzioni attraverso le quali esercitano un potere formalmente legale, ma sostanzialmente arbitrario, per il modo con cui è stato ottenuto, che è la fonte delle ulteriori sopraffazioni sul cittadino…Si pensi, per fare solo due esempi, a tutto il sistema clientelare organizzato dalle oligarchie e intorno ad esse col quale si favoriscono i propri adepti e seguaci a danno e mortificazione degli altri, oppure, specialmente in Italia, all’occupazione della Tv di Stato ad opera dei partiti…Questa classe, divisa al proprio interno dalla lotta per la spartizione del potere, si ricompatta immediatamente, per un riflesso di auto-conservazione, di fronte al pericolo, quando contro di essa o alcuni dei suoi esponenti di rilievo si profili l’intervento della Magistratura per richiamare anche costoro al rispetto di quella legge che obbliga tutti gli altri…E se per caso i magistrati si intestardiscono a voler considerare la democrazia rappresentativa e la loro funzione di garanzia una cosa seria, allora ci sono le leggi a tirar fuori d’impaccio l’oligarca. E poiché il Parlamento, che è il centro del potere oligarchico, è sovrano, tutto resta nella legalità formale e democratica…Il rito delle elezioni serve unicamente a legittimare le oligarchie, politiche ed economiche, a continuare a macinare in tutta tranquillità i propri interessi e i propri affari, a godere in santa pace dei propri privilegi, a danno della maggioranza della popolazione…E al cittadino di una simile democrazia non resta che scegliere da quale oligarchia…preferisce essere oppresso, umiliato e offeso e, sempre più spesso, anche sbeffeggiato.”
Tratto da “Il ribelle” di Massimo Fini
venerdì 10 ottobre 2008
IL GOVERNO, LA SCUOLA E LE PREDICHE DI BRUNETTA
Evidentemente il Ministro Brunetta ha visto un altro film. Dall’alto della sua assoluta ignoranza in materia, si è permesso di discettare, con l’eleganza e l’agilità di un elefante in un negozio di cristalli, sugli stipendi degli insegnanti, arrivando a dire che “per quello che fanno guadagnano anche troppo”. E’, questa, una litania che ci sentiamo ripetere da sempre, tanto da non farci quasi più caso. Ma se a fare tali incaute affermazioni è un Ministro della Repubblica, che avrebbe a suo dire l’ambizione di “castigare” i lavativi (decisione sacrosanta!) e di premiare i più bravi e che invece si mette a sparare nel mucchio scambiando Palazzo Chigi per un bar di periferia, allora la cosa comincia a preoccupare.
Perché altro non fa che avallare i sospetti che già nutrivamo da tempo. E cioè che questo Governo e questa maggioranza, con la scusa di voler riformare la Scuola, intendano solo “fare cassa” e abbiano in realtà individuato nei docenti e più in generale nel personale scolastico l’anello debole della catena, sul quale più facilmente sarà possibile picchiare duro, tanto più esso sarà, com’esso è, nell’oggettiva impossibilità di difendersi.
Un atteggiamento odioso, tipico di chi si fa forte coi deboli e debole con i forti, nel solco di una tradizione ampiamente consolidata, che vede da sempre nella Scuola una mucca da mungere, piuttosto che una risorsa da valorizzare.
Io guadagno circa 1600 euro al mese e con quelli devo “campare” me stesso e la mia famiglia. Ho una moglie e due figli stupendi che sono la mia ragione di vita, ma che non vivono d’aria. Lavoro nella Scuola da vent’anni con serietà ed impegno, in un Istituto Professionale divenuto ormai scuola di frontiera, dove “educare alla cittadinanza” è un’impresa ai limiti dell’eroismo. Sono a scuola tutte le mattine e, in ragione dei miei ulteriori impegni di “funzione strumentale” nello staff della presidenza, anche diversi pomeriggi nell’arco della settimana. A casa preparo i compiti, li correggo, mi aggiorno. Che altro dovrei fare per essere all’altezza della considerazione del signor Ministro Brunetta?
L’infelice uscita del Ministro ci conferma nella convinzione che questo non è un Governo dove i valori della Destra e tanto meno di una Destra “sociale” possano essere rappresentati. Il merito non si persegue “sparando a casaccio”, criminalizzando un’intera categoria professionale, ma riuscendo, con pazienza e buona volontà, a “separare il grano dal loglio”.
Per questo LA DESTRA di Ferrara esprime piena solidarietà al personale docente e non docente della scuola pubblica, offeso nella sua dignità dalla “sparata” ministreriale e si impegna a promuovere, insieme a chi ci starà, tutte le azioni politiche e istituzionali che si renderanno necessarie ad affermare il diritto del mondo della Scuola a vedersi restituito il ruolo e la dignità che un Paese mediamente civile avrebbe l’obbligo di assicurarle.
Nella consapevolezza che solo investendo nel sapere e nella formazione sarà possibile promuovere quel processo di crescita culturale e sociale di cui l’Italia ha bisogno ma di cui, evidentemente, non hanno bisogno i signori del Palazzo e i loro lacchè per ingrassarsi alle spalle della povera gente.
In fondo, un Popolo che pensa ed è in grado di ragionare con la sua testa, è ben più pericoloso di un ammasso informe di individui immemori di sé e della propria dignità, distratti dai “circenses” berlusconiani e dunque così più facili da controllare e manipolare a proprio piacimento…!
Nevvero, Ministro Brunetta?
mercoledì 8 ottobre 2008
LODO ALFANO
“…Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori: Sì, era Clarinetto. Un po’ goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella posizione il suo considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù per il cortile. Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio degli altri, qualcuno era ancora un po’ malfermo e sembrava richiedere il sostegno di un bastone, ma tutti fecero con successo il giro del cortile. Infine, fra un tremendo latrar di cani e l’alto cantar del gallo nero, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all’ingiro, coi cani che gli saltavano addosso.
Stringeva fra le zampe una frusta.
Seguì un silenzio mortale. Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne il momento in cui, passato il primo stordimento, nonostante tutto – nonostante il terrore dei cani, l’abitudine sviluppata durante lunghi anni di non mai lamentarsi, di non mai criticare – sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta.
Ma in quell’attimo stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un tremento belato: “Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio!”
Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono calmate, la possibilità di protestare era passata perché i maiali erano rientrati nella casa.
Benjamin sentì un naso strofinarsi contro la sua spalla.
Guardò. Era Berta. I suoi vecchi occhi erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò gentilmente per la criniera e lo portò nel grande granaio ove erano scritti i Sette Comandamenti. Per qualche istante ristette fissando la parete scura e le lettere bianche.
“La mia vista si indebolisce” disse infine. “Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima Benjamin?”
Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva:
Tratto da "La fattoria degli animali" di George Orwell
martedì 7 ottobre 2008
LA FIERA DELL'IPOCRISIA
L’altro giorno Berlusconi ha detto che intende governare a colpi di decreti legge, esautorando nei fatti il Parlamento del suo diritto-dovere di legiferare.
Troppi lacci e lacciuoli, per il Nostro, sulla via delle magnifiche sorti e progressive che attendono il nostro Paese, grazie alle sue miracolose ricette.
Peccato che la Costituzione italiana preveda, all’art. 77, che il decreto legge sia un provvedimento normativo a carattere provvisorio e che possa essere utilizzato dai Governi in carica soltanto in casi straordinari di necessità e di urgenza.
Ma, si sa, la necessità e l’urgenza sono sempre dietro l’angolo e, quando non ci sono, si possono sempre inventare.
E anche i Deputati e i Senatori di maggioranza, alla fine, staranno buoni e zitti: in fondo, devono la loro elezione e i soldi che immeritatamente percepiscono ai leader dei loro Partiti, che li hanno inseriti in lista in posizione utile, tale da consentire loro di conquistare il seggio.
Chi avrà il coraggio, tra questi lacchè, di opporsi con forza alle umiliazioni che quotidianamente si vedono costretti a subire? In fondo, Parigi (la ricca indennità che percepiscono) val bene una Messa (il silenzio ipocrita di fronte alla Costituzione stracciata).
E allora avanti così.
Ha già iniziato la Ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che questa sera imporrà al Parlamento il voto di fiducia sul decreto-legge di riforma ordinamentale del sistema scolastico.
Prendere o lasciare, alla faccia dei docenti, delle famiglie, degli studenti, dei dirigenti scolastici e di tutti quelli che, a diverso titolo, nella scuola ogni giorno ci vivono, combattendo la loro buona battaglia in condizioni spesso disperate, e che non sono stati neppure consultati, per sapere cosa ne pensassero.
Siamo certi che i signori del Palazzo, ancora una volta diligenti come soldatini, diranno sì senza vedere e, purtroppo, senza capire.
Non sono forse pagati per questo?
sabato 4 ottobre 2008
DECLINO E METAMORFOSI DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA
L'interrogativo se sia in atto un processo degenerativo della democrazia anche in Italia è serio. I regimi formalmente democratici, ma parzialmente svuotati della loro capacità rappresentativa, sono ormai una semi-democrazia.
La settimana scorsa il capo del Governo ha varato due operazioni: con la prima ha dato il via alla costituzione di un vero partito unico del Centrodestra; con la seconda ha comunicato agli italiani che, per le elezioni europee della prossima primavera, sarà servita la "porcata numero due" (come la chiamò il suo creatore, il leghista Calderoli), ovvero una copia delle disposizioni più antidemocratiche della legge elettorale con cui abbiamo votato nelle ultime elezioni politiche. Il Cavaliere, infatti, ha annunciato che neanche per il Parlamento europeo potremo sceglierci i rappresentanti con lo strumento delle preferenze, e che la soglia per entrare nell’Ue salirà al 5 per cento.
Le leggi elettorali sono un tema delicatissimo, da cui dipende la qualità della democrazia. Abolire le preferenze equivale a scippare i cittadini di un diritto di rappresentanza democratica. Berlusconi sostiene che «il sistema delle liste bloccate permette d’avere professionisti che possono autorevolmente rappresentare il Paese in Europa».
Silvio Berlusconi e Walter Veltroni (foto Ansa).
Il che è un insulto all’intelligenza degli elettori, considerati incapaci di compiere scelte mature e responsabili. Meglio, dunque, trattarli da sudditi chiamati a ratificare le scelte del "principe". Che, però, tanto "illuminato" finora non s’è dimostrato. Basta fare un giro tra Camera e Senato per vedere le aule affollate di portaborse, segretari, cortigiani e figli di papà. In questo, anche il Pd non s’è fatto scrupolo di spedire in Parlamento figlie di ex ministri, addetti stampa, segretarie e dintorni. È tanto democratico che due sole persone (Berlusconi e Veltroni) decidano chi entra in Parlamento e chi no?
La Costituzione prevede che deputati e senatori siano «eletti a suffragio universale e diretto». Ma con le liste bloccate, l’elettore si limita a ratificare scelte compiute, a suo nome, dall’alto. Senza preferenze si taglia il legame tra gli eletti e il territorio, si limita la libertà stessa dei parlamentari, sempre più servili verso il "capo" che spartisce i posti, li conferma o li fa sparire con un sol tratto di penna.
Lo sbarramento elettorale, si dice, lo si fa per ridurre il numero dei partiti e favorire la stabilità dei Governi. Giusto, ma il salto da una miriade di partiti e partitini a due soltanto ci pare un’eccessiva (e pericolosa) semplificazione.
A pensar male si fa peccato, ma non sarà che si vogliano regolare conti personali (ovvero, "vendicarsi") con l’Udc di Casini, il "traditore", o si tema che gli amici di An, più organizzati sul territorio, portino in Europa più deputati di Forza Italia? Che è come dire: dagli amici mi salvi Iddio!
Sul Corriere della Sera, Massimo Franco ha scritto che il progetto di Berlusconi è «trasformare la coalizione di Governo da maggioranza relativa in maggioranza assoluta nel Paese». Progetto legittimo, purché lo si raggiunga senza "forzare" le regole o riesumare Acerbo e la legge del 1923. Col fuoco non si scherza. Le leggi elettorali vanno scritte insieme: devono essere valide per tutti, non soggette a interessi di parte o personali.
Quando non si riconosce il ruolo dell’opposizione (e il suo leader viene definito «inesistente»), quando si toglie autonomia al potere giudiziario, quando l’opinione pubblica (addomesticata o narcotizzata, grazie al controllo dei media) non è più in grado di effettuare un costante controllo sulle scelte politiche, ci si avvia – come dice il sociologo Campanini – a una semi-democrazia, a un processo degenerativo che svuota il Parlamento delle sue funzioni, sulla scia della Russia di Putin o del Venezuela di Chavez.
Tratto dal n. 39 di Famiglia Cristiana del 30 settembre 2008
venerdì 3 ottobre 2008
RITORNA LA DESTRA
Che Gianfranco Fini sia un leader politicamente al tramonto, lo si capisce dalle profonde rughe che solcano la sua fronte, dalla deriva che ha preso la sua vita privata e dalle sue sempre più infelici prese di posizione politiche, che vanno dalla proposta di concessione del voto amministrativo agli immigrati al boicottaggio della Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, dal giudizio sul fascismo “male assoluto” all’idea di introdurre l’insegnamento del Corano nelle scuole italiane, dalle continue inversioni di marcia sulla legge elettorale al confuso navigare a vista in tema di riforme istituzionali.
Ma tant’è. L’uomo ormai è salito su di un treno in corsa, senza guida, che sfreccia veloce solcando le vaste pianure dell’ignoto, inevitabilmente destinato a schiantarsi alla fine del binario morto sul quale è stato dirottato.
Se il problema fosse soltanto questo, poco male. I leader politici, in Italia come nel resto del mondo, nascono e muoiono e Fini, dopo vent’anni di guida autocratica di Alleanza Nazionale, potrebbe anche andarsene in pensione senza troppi rimpianti da parte dei più.
Il problema è che con lui ad andare in pensione rischiava di essere proprio quella Destra in cui lui aveva smesso da tempo di riconoscersi e di cui, con ostinazione e pervicacia degna di miglior causa, ha smantellato anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, ogni caposaldo etico e identitario.
Per carità. Fini ha il sacrosanto diritto, se si è convertito all’andreottismo, di morire democristiano, trascinando con sé quelli che in AN, un po’ per paura, un po’ per vigliaccheria, un po’ perché timorosi di perdere le rendite di posizione acquisite nel tempo, saranno disposti a seguirlo nel Partito Popolare Europeo.
Quello che non poteva fare era distruggere un mondo, una cultura, un popolo, ma soprattutto un “sogno”: quello di una Grande Destra, intransigente sui principi e sui valori, nazionale e sociale, rivoluzionaria e conservatrice, laicamente cattolica e orgogliosa delle proprie radici, vicina agli ultimi e fieramente anti-moderna, giustizialista e ontologicamente onesta che rappresenta ancora, piaccia o non piaccia, la maggioranza silenziosa e operosa di questo Paese.
Quella Grande Destra che dall’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e dal Movimento Sociale di Giorgio Almirante, passando per Leo Longanesi, Giovannino Guareschi, Indro Montanelli, su su fino a Marcello Veneziani, pur nella diversità delle storie, dei momenti storici e delle sensibilità, ha incarnato e incarna l’idem sentire di un’intera Nazione.
Quella Destra che oggi finalmente si riconosce ne La Destra di Francesco Storace e di tutti quelli che con lui, senza paracadute, hanno deciso di accettare la sfida.
E’ una Destra che con Fini, Casini e Bossi non ha nulla a che spartire. E che, come un fiume carsico, è finalmente sgorgata dai meandri più reconditi della società civile italiana, con la forza prorompente delle sue ragioni.
Stanno cercando di ucciderci, ma non ci riusciranno. Basterà attendere con pazienza la fusione a freddo del PDL per veder passare, comodamente seduti sulla riva del fiume, molti "pentiti" di ritorno, accanto al cadavere della Seconda Repubblica.
La Terza, che sta per nascere, ci vedrà certamente protagonisti. Con o senza sbarramento o voto di preferenza.
giovedì 2 ottobre 2008
DRAGOTTO E MALAGUTI, CANDIDATI "A PERDERE"
L’impressione – ma spero vivamente di sbagliarmi – è che i giochi siano già fatti: applicando alla lettera il “manuale Cancelli”, la candidatura a Sindaco di Ferrara sarebbe in quota Forza Italia (leggi Dragotto) e quella alla Presidenza della Provincia in quota AN (leggi Malaguti). Se così sarà, se cioè il Pdl metterà alleati o potenziali tali di fronte al fatto compiuto, La Destra si chiamerà fuori da ogni logica di confronto con gli amici di Berlusconi e percorrerà tutte le altre strade che il dibattito politico delle prossime settimane le suggerirà. Con un obiettivo bene preciso: quello di vincere le elezioni.
Perché una cosa è chiara, facile da capire e da spiegare anche ad un bambino: le candidature di Giorgio Dragotto e Mauro Malaguti sono candidature “a perdere”, assolutamente prive di ogni possibilità di successo. Il primo - è noto - non brilla per la sua simpatia e per la sua lungimiranza; il secondo, che ho avuto occasione di conoscere bene avendo militato in AN per dieci anni, è un bravo ragazzo, ma assolutamente privo del necessario “carisma”. Raccoglierebbero a malapena i voti della propria parte politica e a Ferrara questo non basta per sconfiggere PD e soci.
La loro designazione sarebbe l’ennesima riprova che a Ferrara il Centrodestra non vuole vincere e, per non correre il rischio che ciò avvenga, crea a priori le condizioni per una sconfitta certa. Un segnale devastante, frutto di abitudini ormai consolidate (accadde più o meno la stessa cosa, anche se in contesti politici parzialmente diversi, nel 1999 e nel 2004) ma che, per chi vuole che finalmente anche da noi le cose cambino, appare offensiva e inaccettabile.
Il problema che ci si pone innanzi, al contrario, è oggi quello di individuare figure con esperienze amministrative consolidate, apprezzate e stimate da amici e avversari, libere da possibili condizionamenti, non ricattabili, in grado di presentare un progetto politico e amministrativo per la Città e la Provincia autenticamente innovativo e credibile. Tale cioè da indurre anche chi, quattro anni fa, votò a sinistra, ad accettare la sfida del cambiamento e a voltare le spalle ad un sistema di governo locale ormai sfibrato, aggrappato disperatamente al potere e capace di reggersi soltanto sulle sue mille contraddizioni e sui suoi tanti errori.
Queste figure ci sono. Basta cercarle e valorizzarle. La Sinistra, soprattutto in Provincia, ha paura di perdere e l’impressione, nei corridoi del Castello, è che l’occasione del 2009 sia unica e irripetibile.
“Ora o mai più”, verrebbe da dire. Sempre che si abbia finalmente il coraggio di uscire dalla logica perversa del proprio orticello ben coltivato ma altrettanto sterile, a cui Forza Italia e Alleanza Nazionale hanno dedicato negli ultimi vent’anni le loro migliori e mal riposte energie.