mercoledì 31 dicembre 2008
GLI AUGURI PIU' SINCERI DI UN FELICE 2009!
Porgo a tutti voi gli auguri più sinceri di un felice e sereno 2009. Non sarà un anno facile, inutile illudersi. Ma questo non ci impedirà di lottare per cambiare le cose, a partire da Ferrara e Provincia, con il coraggio e la caparbietà di sempre. Aiutateci a farlo, con l'amicizia e l'affetto che ci avete mostrato in questo anno e mezzo, da che è nato il Partito. Cercheremo di farlo crescere, consapevoli dell'importanza di esserci, per rappresentare un'alternativa credibile al magma putrescente in cui la partitocrazia malata di questi tristi tempi si sta dibattendo. Buon Anno!
mercoledì 24 dicembre 2008
BUON NATALE, BUONA DESTRA!
E soprattutto che sia un anno in cui ciascuno di noi, a cominciare dal partito che amiamo, possa ricevere le soddisfazioni che meritiamo.
Il prossimo anno, finalmente non bisestile…, lo dovremo caratterizzare nel segno dell’affermazione dei nostri sogni politici, dovremo impegnarci al massimo contro ogni tentativo di resistenza al cambiamento dei metodi della politica, sempre più lontana dai cittadini.
L’etica sparisce dalla società e dall’amministrazione dello Stato, delle regioni, degli enti locali; di più, sembra perdersi ogni traccia di capacità di indignazione. Noi no, abbiamo detto e dobbiamo continuare a dire.
Sia il Natale che precede l’anno dell’identità de La Destra, della sua riconoscibilità come movimento degli italiani, sia il 2009 l’anno della gioia per un partito che appena nato ha dovuto fare i conti con le prove più dure.
Ma non ci arrendiamo, siamo gente che non molla!
E il 24 gennaio ci abbracceremo a Napoli.
Buon Natale, buona Destra.
martedì 23 dicembre 2008
BUON NATALE!!!
venerdì 19 dicembre 2008
GLI ATTACCHI ALLA CHIESA E L'IPOCRISIA DI FINI
Parliamoci chiaro. Le leggi razziali sono state solo un pretesto. Con l'attacco a freddo di Gianfranco Fini alla Chiesa Cattolica il Presidente della Camera paga l'ennesimo debito (e non crediamo sarà l'ultimo) alla cultura neo-illuminista e paleo-massonica della City londinese, che con grande entusiasmo abbracciò qualche anno fa, quando iniziò a smantellare pezzo a pezzo la sua storia personale e con essa quella di un popolo e di una comunità che ha sempre avuto, nel Magistero della Chiesa e nella sua Dottrina Sociale, un imprescindibile punto di riferimento culturale, morale e identitario.
martedì 16 dicembre 2008
DALLA SCONFITTA ABRUZZESE UN FORTE MONITO: CAMBIARE O SCOMPARIRE
Abbiamo perso. E la sconfitta elettorale in Abruzzo è la cartina di tornasole di un Partito che, come è apparso chiaro in occasione del Comitato Centrale a cui ho partecipato una decina di giorni fa, non ha ancora deciso cosa fare da grande.
Quando La Destra venne al mondo, ormai un anno e mezzo fa, l’obiettivo era chiaro, o almeno a me così era apparso.
Il Partito non nasceva per stare alla destra di AN, ma per prendere il posto di AN, che per motivi legati essenzialmente ad una questione di poltrone, aveva svenduto l’anima e dunque non appariva più in grado di rappresentare credibilmente nella coalizione di Centrodestra quel patrimonio di valori e di ideali che permeano buona parte dell’elettorato moderato, ma che Berlusconi neppure sa dove stiano di casa.
Ecco, questo era il progetto originario de La Destra: fungere da elemento riequilibratore, diventare la nuova destra di governo in una coalizione alternativa alle Sinistre, portandovi idee, entusiasmo, coerenza, moralità. Interpretando in buona sostanza l’ anima critica del nuovo Esecutivo che di lì a breve – era nell’aria - avrebbe inevitabilmente mandato a casa la traballante navicella retta da Romano Prodi.
Quello che accadde poi è cronaca nota a tutti. Il voltafaccia del Cavaliere, il veto di Fini all’apparentamento, la lunga traversava in un deserto sterminato di cui non si intravede la fine. La legittima sensazione, vissuta da molti di noi, di essere stati traditi.
E così, un po’ per volta, il Partito ha cambiato faccia e con essa linea politica, cominciando ad assomigliare sempre più ad una destra anti-sistema, qualcosa di molto più simile, per intenderci, alla Fiamma Tricolore o a Forza Nuova, che non a quella Destra moderna e democratica che aveva l’ambizione di diventare e alla quale molti, anche per questo, si erano rivolti all’origine con curiosità e interesse.
Intrecciando poi pericolose alleanze più o meno sotterranee con elementi dell’estremismo radicale (l’ingresso di Tilgher nell’Esecutivo Politico nazionale è sintomatico in questo senso), che prima che portare voti e determinare consenso spaventano e preoccupano chi non è disposto, anche a destra, a svendere gli irrinunciabili valori della libertà e della democrazia sull’altare di improbabili e imbarazzanti derive neofasciste.
Oggi dunque il Partito si trova di fronte ad un bivio.
Da una parte, c’è la scelta dell’autoghettizzazione, assolutamente legittima, ma altrettanto sterile, in termini di prospettiva politica.
Dall’altra, quella di un movimento disposto a mettersi in gioco, a confrontarsi con il Pdl sul piano delle idee, competitivo sì, ma non pregiudizialmente chiuso al dialogo e al confronto, nella consapevolezza forte e chiara che il “nemico” sta sempre e comunque dall’altra parte, a sinistra.
Su questo si misurerà, di qui a breve, il futuro politico de La Destra e la sua capacità di attrarre consensi e suscitare speranze, piuttosto che di sfiorire nell’insignificanza di un orizzonte asfittico e senza sbocchi.
venerdì 12 dicembre 2008
"ULTIMO GIORNO, ULTIMA ORA, ULTIMO MINUTO": UN CONVEGNO RIUSCITO
Cari amici,
tocca a me questa sera fare gli onori di casa, visto che il Convegno che si tiene in questa sala prestigiosa del Castello Estense è stato promosso dal Gruppo Consigliare Provinciale Misto di cui fa parte anche La Destra nella mia persona. Un ringraziamento particolare va a questo proposito al mio capogruppo, Rino Conventi, per lo spirito di collaborazione manifestato sin dal primo istante nei miei e nei nostri confronti. Ringrazio naturalmente i nostri graditissimi ospiti, Pino De Rosa e Rodolfo Graziadei, per la disponibilità che ci hanno dimostrato, accogliendo il nostro invito, così come voglio porgere un ringraziamento sincero al Segretario provinciale Alberto Ferretti, promotore dell’iniziativa, ai dirigenti di partito, agli iscritti, ai simpatizzanti e a tutti quelli che a vario titolo hanno voluto quest’oggi essere presenti.
Credo si tratti veramente di un’occasione più unica che rara, quella di avere qui in mezzo a noi Rodolfo Graziadei, un protagonista ferrarese di quei giorni terribili a cavallo del 25 aprile 1945 che la nostra città visse in un’attesa lacerante, fatta di timori e di speranze, di gioie e di dolori, di nobili atti di eroismo come di piccoli e squallidi episodi di viltà. Un testimone vivente di quel crogiuolo di emozioni, sentimenti, incertezze, scelte definitive e irreversibili che bruciarono il più delle volte la gioventù di tanti ventenni che, come Rodolfo, imboccarono forse la strada più difficile, sapendo che per questo avrebbero pagato un prezzo molto salato. Ci fu chi quel prezzo lo pagò con la propria vita e chi, come Graziadei, con la prigionia e con l’ esilio più amaro, durato anni.
Credo che si tratti di un’occasione unica anche perché ci dà la possibilità di ragionare di quei fatti così lontani per il tempo che è trascorso da allora ma così vicini per le passioni che sanno ancora suscitare, prescindendo una volta tanto dagli stereotipi ideologici con cui per troppi decenni ci si è mossi. Mi riferisco in particolare alle vecchie categorie dell’antifascismo e del neofascismo, sulle quali molti hanno specularmente costruito le loro carriere politiche e che oggi appaiono contenitori vuoti, incapaci di spiegare, se non in modo marginale, scelte come quelle, per esempio, che fece Rodolfo.
E invece ancora oggi, ad oltre sessant’anni dalla fine di quell’esperienza, continua per esempio a far comodo a qualcuno rovesciare nella categoria del fascismo tutti gli orrori del nostro secolo: le guerre, le dittature, il totalitarismo, il razzismo, le violenze, lo sciovinismo e ogni altro genere di prevaricazione. Continua a far comodo condensare su quell’ evento politico tutte le nefandezze del Novecento e poi concluderne che liberandoci dal fascismo ci siamo liberati da quei mali, che invece, come ben sappiamo, permeano in un abbraccio drammatico e spesso mortale i nostri giorni. Continua a far comodo unificare sotto l’ombrello del fascismo ogni regime repressivo del secolo scorso.
Certo, sarebbe comodo usare ancora il fascismo come ricettacolo del Male. Ma troppe domande resterebbero senza risposta. Perché mai, ad esempio, quell’orrore ebbe un consenso così vasto, intenso e perfino duraturo? Perché mai molte delle migliori intelligenze del secolo furono tentate, inebriate o irretite dal fascismo? Perché mai stati e statisti, anche di provata ispirazione democratica, pontefici e chiese, grandi imprenditori, considerarono con favore il fascismo e il suo capo? Perché mai molte eredità istituzionali, legislative e sociali del fascismo furono riprese e continuate anche nella democrazia del dopoguerra? Perché mai il fascismo riuscì ad integrare le masse nello stato unitario e nella nazione moderna, suscitando come mai in precedenza un forte senso comunitario e patriottico? Perché mai il fascismo non cadde per proprio disfacimento o per intrinseco fallimento, come è accaduto al comunismo, ma solo a seguito di una guerra perduta? Bisognerebbe rispondere a queste domande prima di riassumere nel fascismo il male del Novecento.
Noi oggi non abbiamo qui né il tempo, né probabilmente la capacità di rispondere a queste domande, alle quali peraltro storici non sospettati di simpatie per il regime, ma di grande spessore culturale e umano, come Renzo De Felice, hanno già dato in un recente passato risposte molto convincenti.
La questione da porre problematicamente però a mio avviso c’è, ed è questa: quali sono i motivi che hanno determinato il consenso e l’attrazione del fascismo o l’immagine di “positività” che riuscì a diffondere? E questi motivi sono separabili, distinguibili dall’immagine negativa che ha prevalso al termine del suo percorso? In altri termini: che nesso c’è tra la modernizzazione, le opere pubbliche, l’integrazione comunitaria, l’idealismo di massa, la tutela sociale, lo Stato efficace da una parte e dall’altra la violenza squadrista, la persecuzione del dissenso, la militarizzazione e il bellicismo, la volontà di potenza, la retorica e l’autoritarismo, fino alle leggi razziali, all’antisemitismo e all’orrore della Shoah? C’è un nesso indistruttibile tra queste cose, o si può pensare alle une senza le altre, e viceversa?
Io credo, - ma poi ce lo dirà lui, se vorrà - che proprio in nome di quei principi che ho appena ricordato - e non d’altro - Rodolfo Graziadei abbia speso gli anni migliori della sua giovinezza.
E d’altra parte sappiamo bene che la guerra civile tra antifascisti e fascisti non fu, se non in minima parte, la guerra tra difensori della libertà e sostenitori della dittatura. Le forze più cospicue della Resistenza furono i comunisti e gli azionisti di Giustizia e Libertà, non certo i partigiani cattolici, monarchici e liberali, che pure vi furono e combatterono il nazi-fascismo nel nome della libertà e della democrazia. La stragrande maggioranza dei comunisti combatteva invece nel nome di Marx, Lenin e Stalin, in vista della dittatura del proletariato e riteneva legittimo l’uso della violenza rivoluzionaria. Ma anche tra gli azionisti dominava l’idea di un “nuova dittatura rivoluzionaria”, come la chiamava Silvio Trentin, di un nuovo pedagogismo di stato per educare le masse, come sostenevano i loro programmi, di una democrazia senza partiti, come la disegnava Duccio Garimberti, e di un anticapitalismo radicale, come quello disegnato da La Malfa e Ragghianti, che configuravano una scelta non propriamente omogenea alla democrazia liberale.
E il fatto che il mondo sia più complicato di come una storiografia agiografica, compiacente e di parte ce lo ha sempre presentato, emerge in modo chiaro ed evidente dal libro che oggi qui presentiamo.
Si legge la ribellione morale dello stesso Rodolfo di fronte ad episodi di ingiustificata ferocia perpetrati da una parte come dall’altra, a cui assiste attonito e spesso impotente. Si coglie nel profondo il suo disorientamento di fronte alla consapevolezza di dover combattere contro altri italiani e non – come avrebbe voluto – contro le truppe degli “invasori” anglo-americani.
Gli sguardi fugaci che scambia con un giovane prigioniero partigiano della sua età, in cui scorge l’angoscia e l’incertezza sulla sua sorte; o con il soldato britannico biondo che lo scorta verso la prigionia allontanando da lui, per una sorta di inconfessato rispetto, la plebaglia che fino a pochi giorni prima plaudiva a quelli come lui e che ora, pronta a saltare sul carro del vincitore, gli vorrebbe sputare in faccia, accecata dall’odio e dal rancore. I tanti piccoli e grandi episodi di autentico cameratismo, che lo vedono protagonista di un’epopea tragica e grandiosa al tempo stesso, e che ne fanno una figura alta e nobile pur nella sua semplicità.
Tutto questo fa di questo libro un’opera da leggere con grande interesse, nel ricordo di quello che è stato ma anche - e direi, soprattutto – nella speranza di un futuro migliore. Ed è proprio con lo sguardo rivolto al futuro che Rodolfo chiude il suo racconto, scrivendo: “sulla linea dell’orizzonte, il tramonto di una vita non è triste, confortato dalla certezza che quando la bicicletta resterà sul ciglio della strada perché non potrò più tornare a riprenderla, non sarà preda dei rovi ma troverà chi monterà in sella e continuerà a salire fino all’ultimo giorno, ultima ora, ultimo minuto di un’ascesa che culminerà con il riscatto di una fede capace di ridare a quest’Italia la svenduta dignità.”
Vi ringrazio e cedo con piacere la parola a Pino De Rosa.
sabato 6 dicembre 2008
DAL PRIMO COMITATO CENTRALE L'ENTUSIASMO PER RIPARTIRE
mercoledì 3 dicembre 2008
IPSE DIXIT
venerdì 28 novembre 2008
IL PIANO PROVINCIALE DELL'OFFERTA FORMATIVA? UN MINESTRONE INDIGESTO
Facendoci carico della richiesta formulata dai docenti e dal personale Ata del Liceo Classico “Ariosto” di esprimere con chiarezza la nostra posizione in merito alle questioni sollevate nella lettera apparsa giovedì sui giornali locali, con cui si contesta il metodo e il merito del Piano dell’Offerta Formativa approvato dal Consiglio Provinciale di Ferrara mercoledì scorso, ci sembra doveroso illustrare in breve i motivi che ci hanno portato a non condividere quella decisione, di cui l’Amministrazione di Centrosinistra ha per intero la responsabilità morale e materiale.
Tre in particolare sono state le ragioni addotte nei nostri interventi, che ci hanno impedito di formulare un giudizio favorevole.
Abbiamo innanzitutto criticato il metodo adottato, troppo verticistico, privo del necessario coinvolgimento dei soggetti più direttamente interessati, dal personale docente e non docente alle famiglie degli studenti, che si vedranno piovere dall’alto molte decisioni di non poco conto, che rischiano nei fatti di condizionarne pesantemente scelte già formulate e legittime aspettative.
Un metodo sbagliato anche nei tempi, vista l’intempestività, appunto, di una decisione che arriva a fine novembre e cioè a due mesi dalla chiusura delle preiscrizioni, senza che ci sia sufficiente chiarezza su alcuni passaggi fondamentali.
Pensiamo in particolare – venendo alla seconda ragione - al “traghettamento” ope legis di un indirizzo del Classico e di uno dello Scientifico dall’”Ariosto” e dal “Roiti” al Liceo Sociale “Carducci”. Trasferimento che, nelle intenzioni della Provincia, dovrebbe costituire in nuce l’embrione di un quarto Polo liceale prossimo venturo, di cui non si conosce nulla circa l’identità, la “mission”, gli obiettivi didattico-formativi. Una decisione alchemica, nata in laboratorio, concepita negli alambicchi del “pensatoio” provinciale, che nasce morta perché priva di un’anima e di un reale coinvolgimento di chi, lavorando sul campo, dovrà poi tradurre in esperienze di vita vissuta le elucubrazioni teoriche di chi l’ha artificialmente ideata.
E’ certamente vero che Istituti Scolastici che ormai sfiorano i 2000 iscritti, come il Classico e lo Scientifico, rischiano oggettivamente, a prescindere dalla volontà, dall’impegno e dalle buone prassi di chi ci lavora, di non essere in grado di assicurare quell’offerta formativa di qualità che gli studenti e le loro famiglie si attendono. E’ però altresì vero che un progressivo snellimento degli stessi non può prescindere da quel “percorso, ragionato e graduale, di contenimento delle iscrizioni”, di cui parla la lettera, frutto di una consapevole e responsabile partecipazione del personale docente delle Scuole interessate. Da accompagnarsi eventualmente ad una più mirata attività di orientamento verso l’istruzione tecnica e professionale, laddove questa meglio dovesse corrispondere alla domanda proveniente dal mondo del lavoro che insiste sul nostro territorio provinciale.
Abbiamo infine criticato la decisione, incomprensibile ai più, di accorpare l’Istituto Superiore d’Arte “Dosso Dossi” all’Istituto Tecnico per Geometri “Aleotti”. Una vera e propria “fusione a freddo”, che non trova una sua giustificazione né nell’ubicazione dei due Istituti, fisicamente distanti l’uno dall’altro, né nella storia e nelle finalità didattico-educative perseguite degli stessi, così diverse per obiettivi e pratiche consolidate. L’istituzione di un improbabile “Polo tecnologico dell’edilizia”, con cui si è cercato di giustificare questo curioso “ircocervo”, non regge di fronte alla realtà del presente e dell’immediato futuro. Senza tener conto del fatto che il nuovo Istituto, per il quale si prevede un bacino d’utenza vicino alle mille unità, nascerà in palese violazione del dettato normativo contenuto nei decreti sulle “razionalizzazioni” del ’98, che fissano in 900 alunni il tetto massimo per le Scuole dell’autonomia di nuova istituzione. Molto meglio sarebbe stato, anche in quest’ottica, accorpare il “Dosso Dossi” all’Istituto Professionale “Einaudi”, contiguo fisicamente al primo e nel quale è presente già da anni un ottimo corso di grafica pubblicitaria, certamente più in sintonia con le discipline insegnate nell’Istituto d’Arte.
Ribadendo come, al di là dei legittimi interessi sindacali, sia compito dell’Amministrazione Provinciale la programmazione degli indirizzi di politica scolastica in una logica di sistema che deve rispondere ai bisogni reali del territorio, per troppo tempo disattesi e lasciati alle pur apprezzabili iniziative dei singoli Istituti, facciamo nostre le preoccupazioni manifestate dai docenti e dal personale Ata dei Licei Classico e Scientifico, impegnandoci sin da ora a recepire i suggerimenti che vorranno proporci e a sostenere ad ogni livello istituzionale, come già abbiamo fatto mercoledì scorso in Consiglio Provinciale, le buone ragioni di chi ritiene che la Scuola ferrarese meriti considerazione e rispetto.
Quella considerazione e quel rispetto che le vengono oggi negate da chi, anche in questa occasione, come in tante altre nel passato, ha anteposto d’autorità i suoi interessi particolari alla logica del dialogo e del confronto.
STEFANO GARGIONI (LA DESTRA)
DAVIDE VERRI e FAUSTO BALBONI (AN)
GIOVANNI CAVICCHI (LEGA NORD)
UGO TADDEO, MASSIMO MAZZANTI, ANDREA MALANO e VITTORIO ANSELMI (FI)
ROSSANO SCANAVINI (POPOLARI LIBERALI)
NEDA BARBIERI (ALLEANZA PER FERRARA)
RINO CONVENTI (UDC)
ALBERTO ALBERTI (GRUPPO MISTO)
martedì 25 novembre 2008
ULTIMO GIORNO, ULTIMA ORA, ULTIMO MINUTO
Mercoledì 10 dicembre, alle ore 17, presso la Sala dell'Imbarcadero 2, in Castello Estense, si terrà il Convegno dal titolo "DALLA PARTE SBAGLIATA", in occasione del quale verrà presentato il libro "Ultimo giorno, ultima ora, ultimo minuto", che narra la storia dell'ultimo milite della R.S.I. che lasciò Ferrara il 25 aprile 1945. L'incontro verrà aperto dal Segretario Provinciale de La Destra Alberto Ferretti, che porterà i saluti della Federazione. Seguiranno l'introduzione del Consigliere Provinciale Stefano Gargioni e la relazione dell'autore, giornalista e scrittore, Pino De Rosa. Sarà presente anche Rodolfo Graziadei, coautore e protagonista delle vicende narrate nel libro.
domenica 23 novembre 2008
CASO VERRI: IL SILENZIO ASSORDANTE DI FORZA ITALIA
La cosa che più stupisce, della “vicenda Verri”, non è tanto il fiume di contumelie, cariche di astio e di rancore, che Alberto Balboni ha riversato sul Sindaco di Bondeno in occasione dell’Assemblea provinciale di AN tenutasi sabato pomeriggio. Questo fa parte dello “stile”, ampiamente consolidato, con cui il Senatore ha da sempre trattato chi non la pensa come lui e dunque non fa notizia.
A fare notizia, al contrario, è l’assordante silenzio con cui Forza Italia ha accolto, nelle ultime due settimane, l’auto candidatura di Verri a Presidente della Provincia. Con l’eccezione di qualche timida ed estemporanea “uscita” da parte di alcuni suoi dirigenti non di primissimo piano, il Partito di Berlusconi ha brillato per l’assenza in un dibattito che si sta facendo di giorno in giorno più infuocato e nel quale sono intervenuti, a vario titolo, i rappresentanti di tutte le forze politiche non di sinistra presenti sul territorio.
Un silenzio tanto più colpevole se si pensa che Forza Italia, dentro il PDL prossimo venturo, in ragione della sua consistenza elettorale, che è di gran lunga superiore a quella di Alleanza Nazionale, avrà nel Direttivo Provinciale la maggioranza assoluta e dunque l’ultima voce in capitolo.
Un silenzio, poi, che induce a pensar male. A pensare cioè che l’accordo sottobanco di cui si è tanto parlato, tra Balboni e Dragotto, per la spartizione delle candidature, sia molto più concreto e cogente, per i protagonisti e per i rispettivi movimenti, di quanto essi stessi non vogliano ammettere.
Credo dunque che sia arrivato il momento, per Dragotto, Perazzolo & Co., di smetterla di giocare a rimpiattino e di uscire allo scoperto; di raccontarci, in buona sostanza, cosa intendono fare da grandi.
Se vogliono cioè, con il sostegno senza ambiguità a Davide Verri, anteporre ai piccoli interessi di bottega la voglia di un autentico e radicale cambiamento, in grado di determinare le condizioni per una vittoria elettorale oggettivamente a portata di mano.
O se, piuttosto, intendono continuare nella logica del piccolo cabotaggio, che li ha visti da sempre succubi dei giochetti di palazzo di Balboni e dei suoi pretoriani, inevitabilmente sfociati in cocenti sconfitte elettorali.
Da questo – e non da altro – La Destra li giudicherà, traendone le dovute conseguenze.
IL SENATORE ATTAPIRATO
sabato 22 novembre 2008
E' L'ORA DE LA DESTRA.....L'UNICA
Leggiamo e volentireri pubblichiamo: | Segnala |
Dunque si sciolgono. Ieri, Forza Italia ha dato a Berlusconi pieni poteri (ohibò) per sciogliere il partito dentro il PdL. Poi toccherà ad An e tutti insieme staranno nella melassa senza identità. Per la Destra che c’è, la nostra, l’unica che non nasconde la propria identità, si apre un’autostrada che ci vedrà volare se non cederemo alle tentazioni delle scorciatoie di potere. Francesco Storace |
martedì 18 novembre 2008
E ORA SI INCOMINCIA A CORRERE!
venerdì 14 novembre 2008
"VERRI, LA BASE E' PIU' AVANTI DEI VERTICI DI AN"
A nome dei partiti che rappresentiamo intendiamo esprimerci sulla candidatura di Davide Verri a Presidente della Provincia.
Con grande rammarico siamo stati costretti ad apprendere come la designazione del candidato fosse, di fatto, già stata decisa dall’alto senza confrontarsi con la base. Conformemente a quelli che sono i principi ispiratori del nuovo soggetto politico che si andrà a formare nei prossimi mesi, ossia il Pdl, crediamo di poter asserire senza alcuna ombra di dubbio che Davide Verri può incarnare al meglio il candidato alla Presidenza della Provincia, tutto ciò senza nulla togliere agli altri candidati. Aldilà infatti dei supposti fervori ‘obamiani’ che pervaderebbero il nostro sindaco, secondo quanto dichiarato da Enrico Brandani, Verri possiede esperienza, competenza, conoscenza e rispetto del nostro territorio. Ha autorevolezza, carisma e gode della stima della gente. Esempio inconfutabile sono le due legislature ininterrotte da sindaco e una da consigliere provinciale. Ha saputo essere un primo cittadino, amato, di destra, in una terra di tradizionalmente di sinistra.
Verri ha senza dubbio rappresentato i valori e gli ideali cui noi ci ispiriamo, ha ben governato in nome nostro e di tutti i cittadini indistintamente. Per questo merita di governare anche la Provincia.
Occorre un uomo nuovo, con un curriculum di tutto rispetto non solo sotto il profilo politico, ma soprattutto umano. Questo non per populismo, ma semplicemente perché è questa l’unica strada da percorrere per rendere i nostri tanti simpatizzanti ed elettori reali protagonisti della politica. Come partecipanti e non come sudditi. Per questo chiediamo, caldeggiamo e sosteniamo la candidatura di Davide Verri alla Provincia, a dimostrazione che c’è chi di Forza Italia o Alleanza Nazionale sente già di appartenere, concretamente, al Pdl di cui tutti parliamo come speranza di buona politica per il futuro.
Ancora una volta, spiace dirlo, la base è più avanti dei vertici. Bisogna ragionare di quote ma di partito unico. Perché la base è la gente e la politica nulla sarebbe senza il patrimonio delle persone. Verri dunque non si è inventato consensi, semplicemente li ha. E non ha neppure guardato troppo Obama ma ambisce a realizzare un progetto possibile per il quale ammette di sentirsi preparato senza nascondersi dietro false umiltà.
Luca Pancaldi, coordinatore comunale Forza Italia di Bondeno, e Sergio Bonifazi, responsabile circolo An Bondeno
mercoledì 12 novembre 2008
AN MOSTRA I MUSCOLI, MA SONO INFLACCIDITI
domenica 9 novembre 2008
DAVIDE VERRI SI CANDIDA A PRESIDENTE DELLA PROVINCIA. LA DESTRA E' PRONTA A FARE LA SUA PARTE
Una volta tanto concordo con il Senatore Balboni, quando afferma, riferendosi all’auto-candidatura di Davide Verri, che “modi e parole dell’annuncio non sono nello stile di AN”. In effetti, è più unico che raro che in quel Partito si trovi ancora gente che abbia il coraggio di dire quello che pensa e di fare quello che dice. Tanto di cappello dunque al Sindaco di Bondeno, che con la sua uscita scompagina le carte e nel farlo restituisce ai tanti che, dentro e fuori del Pdl, credono ancora nella possibilità di mandare a casa la Sinistra, la speranza concreta di riuscirci.
Il riferimento che Verri fa nella sua lettera alla necessità di una politica che includa e non che escluda come pre-condizione per un possibile successo elettorale è sacrosanta. Solo raccogliendo attorno ad un candidato credibile e ad un progetto politico realistico e spendibile il più ampio consenso sarà infatti possibile restituire alla gente l’entusiasmo che una politica politicante, fatta di accordi blindati e di palazzo, ha progressivamente ucciso, a Ferrara come nel resto del Paese.
La Destra viene dallo stupendo Congresso Nazionale di Roma celebratosi in questo fine settimana, all’insegna dello slogan “più popolo, più idee, più valori contro il declino della Nazione”, che ha visto convergere nella Capitale 1200 delegati in rappresentanza di tutte le Province d’Italia. Un Congresso vero, fatto di carne e di sangue, ma soprattutto della tanta voglia di partecipare e credere nella possibilità di un autentico cambiamento, contro la sterilizzazione della politica che il bipartitismo coatto imposto da una legge elettorale incostituzionale e liberticida ha determinato.
Per questo salutiamo con favore la candidatura di Davide Verri e attendiamo da lui quell’apertura al dialogo e al confronto di cui parla nel suo intervento. Su questo e non su altro si misurerà la reale intenzione del Centrodestra di voler vincere le imminenti elezioni amministrative.
venerdì 7 novembre 2008
PRIMO CONGRESSO NAZIONALE DE LA DESTRA. "NON SARA' L'ULTIMO!"
RELAZIONE DEL SEGRETARIO NAZIONALE FRANCESCO STORACE
Non era cominciato bene questo percorso congressuale: sembrava incredibile, ma in questi tre giorni rischiavamo di doverci confrontare con la drammatica prospettiva di decidere se andare avanti o addirittura scioglierci per diventare una minicorrente di un altro partito, come proponeva la mozione poi ritirata di chi avevamo delegato a combattere in prima fila per noi. Ma nel partito non c'era consenso verso un'idea un po' bizzarra di dissolvenza; e ora, con felicità, orgoglio e passione possiamo davvero dire che il primo congresso della destra non sarà l'ultimo congresso della destra!
A termini di regolamento ho riproposto - con le firme necessarie e nel rispetto di procedure approvate all'unanimità in ogni singolo passaggio - la mia candidatura alla segreteria nazionale del movimento e voglio ringraziare tutti coloro i quali hanno voluto sottoscriverla. Chi non l'ha
fatto preferendo altri lidi non avrà il nostro rancore; fra qualche tempo, quando si accorgeranno di essere stati lasciati a piedi dai venditori di fumo in circolazione, saranno loro a provare rimpianto per aver improvvisamente scoperto di non credere più in quello in cui dicevano di credere. Noi, invece, non abbiamo smesso un attimo di credere che di qui passa il bene della nostra amata Patria.
Questo movimento –-della cui struttura parlerò più avanti nella mia relazione – cresce in maniera esponenziale: non sarà un caso che gli iscritti siano aumentati del 25 per cento da un anno all'altro.
Quindicimila anime aggrappate ad una bellissima bandiera che finalmente avrà rappresentanza parlamentare dal prossimo mese di giugno quando entreremo a Strasburgo con la nostra delegazione e saremo presenti nelle amministrazioni locali di tutta Italia a rappresentare una forza politica di valori e non di potere.
Non ci manca il Parlamento; ci sarebbe mancata molto di più questa splendida assemblea congressuale se avessimo deciso di mancare alla parola data un anno fa. assieme a Teodoro Buontempo lo promettemmo: entro un anno il congresso. E
All'Italia diciamo – e lo abbiamo scritto nei giorni scorsi al presidente della Repubblica, al quale dobbiamo riconoscere con spirito di uomini liberi l'equilibrio con il quale ha orientato nella difesa del pluralismo politico la discussione sulla riforma delle legge elettorale europea – che vogliamo servirla attraverso il nostro bagaglio valoriale, ideale, programmatico.
Lo slogan che campeggia sul congresso, “più popolo, più idee, più valori contro il declino della nazione” sta a significare che la persona non deve sentirsi mai più sola, che il potere non può rappresentare l'unica meta della politica, che le differenze vanno esaltate e non compresse, che l'Italia non si rialza con un semplice manifesto elettorale, ma con una buona pratica politica che sia rispettosa innanzitutto dei diritti di ogni cittadino che oggi invece non ha voce.
L'onda della globalizzazione vede gli Stati cedere al ricatto dell'economia e l'individuo è sempre più solo e inascoltato.
Non ci interessa l'accoglienza del salotto buono della politica.
Continuiamo a privilegiare l'interlocuzione con i poveri disgraziati che non sanno come sbarcare il lunario. Stiamo dalla parte di chi sta male e non da quella di chi sta bene; perché altrimenti ci dovremmo chiedere a che serve la politica.
Vi chiedo di aiutarci a inviare un messaggio di profondo valore etico alla Nazione. Solo se si rivoluziona il linguaggio della politica, il cittadino può scoprire che non siamo tutti uguali e può tornare a sperare anche ciascuno di quei quattordici milioni di italiani che ad aprile ha rifiutato di andare a votare. Pensiamoci: una platea enorme, pari a più di quindici volte e mezza il nostro pur lusinghiero consenso elettorale; sarebbe stato sufficiente convincere poco meno di quattro ogni cento di quegli elettori disgustati dalla politica per raggiungere il quorum. Ma eravamo anche noi visti come parte della casta che si azzuffava; oggi, credo, non più, e del resto vorrà pur dire qualcosa se come mi racconta il nostro segretario amministrativo Livio Proietti, ogni mattina la nostra posta in arrivo segnala che c'è qualche italiano che da qualunque parte si trovi, decide di scriverci on line e versare 20 euro per aderire a
Ecco, da qui parte il nostro cammino. Da qui riparte
Quando Giorgio Almirante definiva gli eletti negli enti locali come i carabinieri missini, non lo faceva per il senso della battuta a effetto, bensì per indicare agli italiani e alle italiane il valore di una forza politica che non mandava uomini e donne nei comuni e nelle province a raccattare quattrini e potere per sé come facevano tutti gli altri, ma si andava per l'Italia attraverso le sue istituzioni. In una espressione molto bella di Nello Musumeci, utili all'Italia e non semplicemente a noi stessi!
E da questo congresso dobbiamo scrivere una nuova pagina per il futuro della nostra Patria.
non vogliono più scambiare diritti con clientele, persone con pubblico, valori con mercanzie, simboli con marchi.
Lo possiamo fare ora e subito, proprio adesso che il popolo italiano può essere messo nella condizione di sapere che finalmente, molto più che a novembre 2007, molto più che a febbraio e ad aprile 2008, qui non c'è casta che possa albergare a lungo nel nostro movimento. Chi non se la
sentiva ha fatto bene a lasciarci in pace. Se una cinquantina di persone su quindicimila iscritti ha preferito fare fagotto per precipitare nel girone infernale della partitocrazia e per andare a inghiottire rospi amari per supplicare sistemazioni personali, e' bene che abbia fatto quella scelta. Abbiamo bisogno di gente che crede e non di gente che vuole; di militanti che combattono e non di dirigenti che si abbattono; di persone orgogliose e non di nullità che recriminano.
Siamo e resteremo una comunità di uomini liberi che ha scelto di non contaminarsi per logiche di mero potere. Veniamo da una cultura che insegnava che per un ideale si era disponibili persino a morire e rifiutiamo il mondo che pare raccomandare di essere pronti a uccidere per il potere.
Noi non abbiamo voluto cancellare tutto quello in cui abbiamo creduto e che ci ostiniamo a voler ancora rappresentare, giustizia per gli italiani, innanzi tutto, attraverso scelte non più compromissorie. Futuro per i giovani chiamandoli alla rivolta morale contro l'eutanasia della Patria.
E' il mondo in cui l'utile vale più dell'etica.
Se non vuoi un figlio l'aborto è il rimedio. Se non sopporti il malato ricorri all'eutanasia.
Se tuo figlio rischia di essere diverso da come lo sogni, potrai clonarlo.
Se non hai futuro, rifugiati nella droga. Ma davvero è questo il nostro destino? Io non lo credo e non credo di essere il solo a pensarla così modernamente.
Preferisco battermi e invitarvi a batterci affinché arrivi il tempo in cui la lotta politica non sia più circoscritta alla riduzione di un punto di pressione fiscale, ma all'esaltazione di un modo di vivere che sia figlio della migliore tradizione culturale e cristiana dell'Italia.
C'è bisogno, drammatico bisogno di riferimenti morali; altrimenti se conta solo
Fino a ieri le cercavano, nelle più tormentate aree del pianeta, persino nel terrorismo. Penso a chi in Medio Oriente preferiva uccidere se stesso e altri nel nome della Palestina, a chi, indottrinato da Bin Laden, andava a schiantarsi contro le Torri Gemelle scegliendo di morire anziché di vivere. Pare ora di intravedere qualcosa di diverso, che non vuol dire che ciò sia sempre positivo. Ma certo dai popoli – e non più attraverso la pratica della violenza, bensì attraverso l'organizzazione del consenso democratico – arrivano nuove indicazioni.
L'elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti ha un tratto di innovazione rivoluzionaria che sarebbe superficiale limitare al colore della pelle, come disse incredibilmente tempo addietro l'attuale presidente della Camera dei Deputati, sostenendo che era presto per l'America pensare ad un presidente di colore. La lungimiranza dell'onorevole Fini gli impediva di vedere la portata straordinaria di una proposta politica che punta invece all'indipendenza energetica di una nazione, all'affermazione di una sanità finalmente pubblica, ad una riforma fiscale di cui persino da noi si perdono le traccia, ad una riforma educativa che veda gli studenti e gli insegnanti come protagonisti e non come nemici da colpire.
Ecco, il popolo americano sembra voler rifiutare la vecchia gendarmeria globale e comincia a pensare un po' di più a come far crescere i propri figli.
L'Europa resta invece ferma in attesa dell'arrivo di centinaia di milioni di fratelli musulmani da Ankara. E poi ci si stupisce del successo delle destre europee.
Ora tocca a noi posizionarci nelle risposte politiche che lo scenario mondiale propone ad un'Europa senza identità: e il no all'ingresso della Turchia nell'Unione sarà un primo, eloquente biglietto da visita da sventolare di fronte a un panorama politico nazionale che e' riuscito persino a inghiottire senza arrossire quel trattato di Lisbona che rappresenta il trionfo di un assetto continentale incapace di cogliere il bisogno di solidarietà sociale che avanza da ogni popolo. Persino
In Europa, dunque, a rappresentare una via sociale, una via etica, una via comunitaria. E ci riusciremo con le forza dei nostri militanti: saremo una delle pochissime forze politiche a dover raccogliere firme per presentarci. Ne serviranno almeno centocinquantamila. Ne sono contento,
perché avremo l'occasione per sei mesi di bandiere e di gazebo per parlare delle nostre proposte. E per questo che nella cartella di ciascun delegato c'è un modulo per affermare la propria disponibilità a sottoscrivere e a raccogliere firme. Ciascuno di noi si senta responsabile verso la propria comunità, domani sera approveremo il nuovo statuto del partito e assieme al presidente che indico formalmente in Teodoro Buontempo, vareremo subito le liste e sabato 15 e sabato 22 novembre organizziamo in tutte le province d'Italia la raccolta di firme.
Dichiaro dunque aperto sin da ora il procedimento elettorale previsto dalla legislazione vigente. Siamo entrati nei sei mesi a disposizione per raccogliere le firme e da oggi il Parlamento non si azzardi a modificare le regole del gioco a partita iniziata. Siamo pronti ad ogni genere di ricorso che vada a ledere il diritto di ogni cittadino italiano a non vedere vanificata la propria firma apposta in calce ad una lista elettorale. La partita è finita, si vota con questa legge!
Lotteremo per un'Europa politica, luogo d'incontro di popoli e di culture, legata alle sue radici cristiane, estranea ad un modo di vivere americanista che vuole contaminare ed egemonizzare proprio uso e consumo la missione occidentalista.
La sfida delle singole nazioni non può che essere quella di costruire un identità comune che tenga conto delle diverse tradizioni, delle diverse lingue, dei diversi costumi, ma che esalti ciò che unisce tutti i popoli europei, in quanto espressione di un unico percorso storico e culturale. Ecco perché siamo e saremo contrari all’ingresso nell’Ue della Turchia.
L’Europa prima che un anonimo soggetto economico ha il dovere di essere la naturale espressione di un continente che, geograficamente e culturalmente, ha confini definiti. Accanto a questa, la sfida più difficile che i popoli europei devono affrontare è rappresentata dalla cosiddetta multiculturalità. Per scongiurare il rischio di chiusure a riccio o di inaccettabili atteggiamenti razzisti o xenofobi, servono politiche per la natalità, regole per la difesa delle nostre tradizioni, atti politici chiari nei confronti di quanti mettono in discussione il nostro culto o la nostra identità.
Se l’Europa non diventerà presto un soggetto politico e non saprà difendere sé stessa dalla crisi d’identità che vive, il rischio concreto è la crescente marginalità nella politica estera fino alla graduale e completa cessione di ruolo verso le nuove potenze mondiali.
Avremmo voluto vedere protagonista l’Italia nella costruzione dell’Unione euromediterranea, abbiamo invece subito l’iniziativa di Sarkozy… Ci si preoccupa di evitare presenze scomode e identitarie al Parlamento europeo con un tentativo di nuova legge-canaglia e ci si dimentica di cultura, storia, tradizione. E’ l’Italia della semplificazione ad usum delphini, degna partner di un’Europa senza rispetto per le proprie radici….
E’ tempo invece di riflettere su quanto l’americanismo ci abbia inquinato culturalmente, quanta parte delle nostre più autentiche tradizioni sia rimasta in piedi, ci sono stati imposti modelli sballati e una visione economicistica della vita; l’unilateralismo si palesa con l’arroganza di un impero che tuttavia non possiede una superiore visione del mondo e della vita che non comprende la ricchezza feconda delle differenze; ed ora ci scarica addosso il prezzo di una gigantesca crisi economica, dovuta alla “sua” finanza virtuale, al “suo” liberismo sfrenato, alla “sua” globalizzazione, figlia di un progetto politico, il mondialismo, che richiede un pensiero unico e che non solo non assicura libertà e progresso al pianeta, ma lo sta portando alla povertà, alla fame e al declino.
Vogliamo un democrazia di popolo a livello continentale, pretendiamo rispetto delle sovranità e non burocratismi irresponsabili. Garantiremo indipendenza e protagonismo sulla scena internazionale, ci batteremo per un’Europa capace di parlare al mondo con una sola voce, figlia della democrazia e della volontà dei suoi popoli.
Il sogno di un'Europa unita e forte col passare degli anni si sta per trasformare in un incubo che vede i governanti del vecchio continente contrapposti ai popoli nazionali sempre più perplessi sul futuro dell'Unione europea. Quanto accaduto in Irlanda con la consultazione referendaria non può essere sottovalutato, i popoli chiamati a decidere ormai hanno fatto capire con chiarezza la loro opinione. Ora che non c’è più la paura del comunismo alle porte, si apre la crisi della Vecchia Europa. Il suo allargamento, che ha trascurato ogni impronta di carattere storico, culturale, religioso e politico, privilegiando invece solo economia, finanza e burocrazia, ha coinciso con un traguardo e con un limite: quello dell’assenza di una qualsivoglia capacità progettuale.
E’ l’Europa del Partito popolare, è quella del Partito socialista, quella che è fallita, in una visione mercantile priva di respiro politico, incapace di democrazia diretta, di politica estera e di difesa comune.
E’ l’Europa che si ferma ora a Lisbona e dimentica di ritrovarsi a valori unificanti sul piano culturale e religioso, è l’Europa che si ferma un miglio prima dell’approdo alla costruzione di una grande potenza militare e politica, è l’Europa a cui manca una missione.
Così come è in campo economico che andrà elevato il conflitto più aspro: è nostra forte convinzione che la partita globale in atto vada ben oltre le dimensioni e le caratteristiche della libera concorrenza tra imprese. Dietro alla prepotente aggressività cinese in campo economico vi è l’apparato statale di una specie di capital-comunismo che ha trovato terreno fertile nella stupidità dei dogmi liberisti in voga in Occidente per mettere in campo le più spregiudicate forme di conquista economica che a memoria d’uomo possano essere ricordate. Ed è stato solo il battistrada per tutti quegli altri Stati, piccoli o grandi, autoritari o democratici che siano, dell’ex terzo mondo che si stanno facendo spazio grazie a un costo del lavoro e della produzione ridicolo rispetto agli standard occidentali, alla prospettiva di immensi guadagni per le multinazionali e all’insipienza delle classi dirigenti europee.
l centro della nostra visione delle politiche industriali vi è l’interesse nazionale, che è poi anche l’interesse delle imprese italiane, delle famiglie, dei consumatori e dei lavoratori italiani. Tutti soggetti che soffrono la stessa mancanza di attenzione dei loro omologhi negli altri Stati dell’Unione Europea. E’ l’Europa tutta a doversi indirizzare in maniera diversa. Senza paure né timori reverenziali nei confronti di alcuno.
Per questo riteniamo che sia ora di cambiare rotta: le insufficienze che abbiamo sotto gli occhi sono state dovute in gran parte all’incapacità – o alla non volontà – da parte degli Stati europei e dei burocrati di Bruxelles di intervenire, anche in maniera diretta (in particolare sulle importazioni), per garantire e tutelare attivamente l’interesse degli Stati membri. Intervenendo con vigore, indirizzando le scelte interne, ponendo limiti e freni all’aggressività esterna.
Il modello mercatista valuta l’uomo, il lavoratore come un semplice costo.
Da abbattere. E quando il lavoro interinale non è sufficiente si può sempre ricorrere alla “delocalizzazione”. Quest’ultimo e' il termine neutro per nascondere lo smantellamento di unità produttive ed il loro trasferimento sempre più ad est. Dove il “costo del lavoro” è sempre più
basso. Parlando del lavoro, dell’organizzazione industriale, della composizione del salario, della sicurezza sui luoghi di lavoro, sull’impatto sociale ricadente sul territorio, tutto questo stato di cose cosa comporti è sotto gli occhi di tutti noi con un liberismo finanziario che tende soltanto al massimo profitto e che trova acquiescenza nel potere politico.
Carissimi delegati, di fronte a noi abbiamo un mare aperto in cui navigare senza incertezze. Lo ha
Lo dissi alla Costituente, lo ribadisco ora: se il problema è un incarico al vertice de
Quello che è accaduto sulla scuola è solo un esempio del disagio sociale fortissimo presente nella società italiana. L'Italia ridotta a uno è possibile solo nelle teste di Berlusconi e Brunetta.
Questo è un popolo che ha smesso di sorridere e ogni giorno tocca con mano che cosa vuol dire la parola declino. Io non so per chi votano i militanti del Blocco studentesco: so solo che hanno avuto coraggio di rompere gli schemi persino con la sinistra, al punto che quella estrema ha sentito il bisogno di provocare scontri fisici. Possibile che sia tanto difficile discutere nell'area mentre si avvertono le difficoltà del potere politico? E' possibile costruire una casa più grande nel momento in cui emerge una ricerca di identità protestataria alla ricerca di interlocutori che non siano affetti dal virus trasportato dalla parola “io”? Lo voglio dire con chiarezza e rispetto per le storie personali di ciascuno: chi è oggi parlamentare europeo, quando discute con noi e di noi, non pensi a quello che è ora, perché ha di fronte chi ha rinunciato a fare il ministro per essere coerente; ma pensi a costruire con noi e negli anni una grande forza politica a due cifre percentuali e tutti assieme riusciremo a prenderci la rivincita contro quel vecchio mondo che non ha più ideali.
Siamo chiamati a contrastare un relativismo che ormai ha contagiato in pieno la politica italiana e parte della società. Ne è un esempio una delle cose più brutte a cui ci è capitato di assistere, l'approvazione in pochissime sedute parlamentari del lodo Alfano. Tutto passa in secondo ordine, la legalità è subordinata al diritto di governare in pace....
Ecco, io non voglio credere che sia questo il destino della nostra Nazione. E per questo chiamiamo a raccolta l'Italia che non vuole rassegnarsi e lo faremo in ogni prova elettorale che avremo di fronte a noi, a partire da quella che domenica prossima attende i nostri militanti del Trentino a cui voglio rivolgere un grande in bocca al lupo, e da quella che vede il nostro grande presidente del partito impegnato in prima persona per la rigenerazione morale dell'Abruzzo.
E il resto lo farà la costruzione di quel magma indistinto che si chiama Popolo delle libertà. Non dobbiamo inseguire chi sta là dentro, perché verrà da solo quando scoprirà che è davvero il notaio a decidere chi conta e chi no.
Non correremo appresso a nessuno, perché vogliamo che prevalga la chiarezza. Non ci piace affatto questo assetto politico e chi è rassegnato fa bene a volgere lo sguardo altrove. Noi preferiamo combattere, perché altro non avrebbe senso politico.
Alle ultime elezioni di aprile, i due principali neonati attori dello scenario politico-istituzionale, PD e PdL, hanno trovato il terreno comune su cui far convergere i rispettivi disegni egemonici.
Che senso avrebbe avuto essere usciti da un’esperienza politica per poi cedere al ricatto di chi ammainava le proprie bandiere imponendo a tutti o quasi di fare la stessa scelta? Tutto questo per un gruzzolo di seggi parlamentari? Non avrebbe avuto alcun senso, se non quello di appagare singoli individui. Non siamo nati per questo.
Abbiamo troppo in considerazione termini come Libertà, Indipendenza, Identità per poterli svendere in cambio di qualche comoda poltrona e che siamo consapevoli che, se le istituzioni sono un luogo fondamentale della politica, esse non sono l’unico luogo in cui si possa sviluppare l’agire politico.
In 40 giorni di scontro elettorale senza mezzi e con poca organizzazione abbiamo raccolto le speranze di novecentomila italiane e italiani. Otto parlamentari uscenti avanti a noi, mentre la sinistra radicale ne schierava 150, oltre a membri dei governi della Nazione, delle regioni e degli enti locali, attestandosi ad appena duecentomila voti in più. Per loro si intona il de profundis, noi sentiamo le note dell’inno alla vita.
Non conta non avercela fatta ad entrare in Parlamento – non è quello il fine della vita, almeno per chi ha deciso di ricostituire
Identità che sta anzitutto nel capire fino in fondo che cosa rappresenta per noi quel senso di appartenenza comunitaria – e non le prebende, e non gli incarichi – che ci può rimettere al centro dell’attenzione di una Nazione che non vede più esempi nella politica. Il nostro cammino è intrapreso. Indietro non si torna. Non per presunzione che spesso si traduce nell’incapacità di comprendere gli eventi e anticipare il futuro; né per risentimento né astio, sentimenti che per loro stessa natura non appartengono alla politica. Indietro non si può tornare perché le fondamenta stesse della nostra casa risiedono proprio nella volontà di poter esprimere liberamente un progetto nuovo, che sfugga alle categorie logore del passato ma nemmeno si inquadri nella riduzione a quelle – sterili – del presente.
Certo che avremmo fatto lavorato – e positivamente! - se ce ne fosse stata data la possibilità.
L’esecutivo guidato da Romano Prodi è stata – sino ad oggi - la peggior iattura che il popolo italiano abbia dovuto subire dal ’92, ma ciò non toglie che molte sono le cose che ancora non vanno, e che nemmeno questo esecutivo è in grado di affrontare in quanto – salvo qualche eccezione – totalmente privo di una visione complessiva del futuro.
Abbiamo mandato a casa volentieri il governo di centrosinistra, abbiamo fatto la nostra parte rifiutando anche le offerte di chi ci avrebbe gratificato con una nuova legge elettorale che ci avrebbe concesso di rientrare, tranquillamente, da soli, in Parlamento.
Ma nemmeno questo era il motivo per cui eravamo nati qualche mese prima.
Ma è anche vero che dobbiamo misurarci con il sistema politico e istituzionale in cui operiamo, per poter partecipare al gioco democratico e far sentire rappresentata la nostra comunità.
E' vero che le elezioni nazionali hanno segnato profondamente il contesto politico italiano. La nascita del Partito Democratico e la conseguente costituzione del Popolo della Libertà hanno raccolto esigenze di semplificazione della politica, verso le quali ha dimostrato di essere assai sensibile il corpo elettorale. La lotta contro la casta, eterodiretta dai poteri forti (che hanno interesse a una politica debole), ha ulteriormente e paradossalmente rafforzato l’idea che l’Italia dovesse lasciarsi alle spalle un sistema fatto di oltre venti partiti rappresentati in Parlamento, con un inevitabile impatto negativo sulla governabilità del Paese. In questo quadro la domanda cui occorre dare risposta, è se esista ancora uno spazio politico a Destra e come questo spazio politico possa eventualmente essere occupato.
E allora tutti devono essere onesti:
Questo va capito, metabolizzato: è il senso stesso della nostra nascita.
Si è fedeli se si vota tutto e di peggio. Si è leali se si contestano errori clamorosi che portano a tradire i patti con gli elettori. Sarà pure molto hard riempire paginate di giornali sulle impronte digitali ai bambini rom, ma noi avremmo preferito a questa caricatura di politiche di destra una decisa azione tesa a riconoscere la specificità del comparto delle forze armate e di sicurezza. Si è scelta la prima strada, si è ignorata la seconda. Si capisce perché era meglio tenerci fuori dalla coalizione….
Sono importanti gli annunci, ma ancora di più i fatti.
Certo, i soldati sono sulle strade, ma se le vetture di poliziotti e carabinieri non hanno benzina, a che servono? Se si dividono i lavoratori tra pubblici e privati al punto che ai primi viene negata la detassazione degli straordinari – norma antisociale di per sé, soprattutto per quel che riguarda la donna costretta a scegliere se essere lavoratrice o madre… - come faremo a vedere più forze di polizia lungo le strade? Come si fa a pensare di poter licenziare per mancanza di soldi decine di migliaia di insegnanti nello stesso momento in cui si regalano quattrini a Colaninno per Alitalia e si donano 5 miliardi di dollari al colonnello Muammar el Gheddafi?
Del resto, le politiche di governo non si giudicano giorno per giorno, altrimenti non avremmo dato vita ad un partito, sarebbe bastato impegnarsi in un più remunerativo istituto di sondaggi. Luci e ombre, dicono alcuni; il che è probabilmente vero, ma in quale programma elettorale era scritto che sarebbe stato possibile a ministri della Repubblica italiana sottrarsi alle celebrazioni del 2 giugno? In quale volantino abbiamo letto che il presidente della Camera, per ansia di legittimazione, avrebbe dovuto persino arrivare a vergognarsi in aula di Giorgio Almirante?
Dopo una campagna elettorale passata a promettere di ridurre le tasse, ci hanno fatto sapere che non si abbassano più e dopo aver tagliato il residuo di imposta Ici che era rimasta, è già riposta nel cassetto la promessa di togliere di mezzo bollo auto e tutte le province. E' finita che hanno delegato proprio le province a riscuotere il bollo auto...
Gli anziani più poveri avranno 400 euro all’anno, uno al giorno…. E nei cantieri senza controlli si continua a morire di lavoro in una strage infinita che implora giustizia.
Daremo spazio al territorio come è giusto che sia, ma la linea dovremo deciderla assieme, perché il ruolo della direzione del partito non può essere evanescente. Ci sarà il doveroso confronto con le strutture locali, ma dovrà essere chiaro a tutti che la partita la dobbiamo giocare prima sui contenuti e poi sul contenitore. Le alleanze a prescindere non sono roba per noi. Sarà il gruppo dirigente che uscirà dal congresso a definire le strategie per le amministrazioni locali, qui decidiamo gli obiettivi della nostra azione politica, sapendo che sarebbe insensato sottovalutare una realtà del Paese che ormai politicamente e istituzionalmente parla almeno venti linguaggi diversi, quante sono le regioni italiane.
Ovviamente secondo precise colonne d'Ercole: sapendo che essere di Destra non vuol dire rimanere ghettizzati o ancorati ad un passato ormai lontano.
Essere di Destra vuol dire arrivare a governare. Ma essere di Destra vuol dire anche non dover governare a tutti i costi, svendendo se stessi, anima compresa.
Essere di Destra vuol dire saper anche rinunciare a poltrone ed incarichi, a maggioranze e prebende. Essere di Destra vuol dire avere una dignità da difendere. Essere di Destra vuol dire non tradire quel milione di italiani che ci hanno votato perché eravamo fuori dagli schemi, eravamo diversi da chi propugna un pensiero debole ed unico.
Detto questo, se intendiamo il nostro impegno nel fronte alternativo alla sinistra, com’è naturale, abbiamo il dovere di aprire un dialogo con tutte le forze che operano nel centrodestra, a partire da quelle identitarie e legate al territorio, per poi dialogare anche con il Pdl, principale soggetto politico di quello schieramento. Ma senza mai rinunciare a noi stessi. In questo senso, nulla dovrà essere lasciato al caso. Starà alla saggezza del vertice politico del nostro Movimento individuare gli interlocutori con i quali iniziare, quanto prima, un serrato confronto e con i quali costruire ipotesi di lavoro comune, sapendo che abbiamo il dovere di pretendere un atteggiamento unitario in tutto il Paese da parte di nostri interlocutori, pur lasciandoci la possibilità reciproca di derogare in presenza di candidature di dubbia affidabilità morale e decidendo in proposito tra sede nazionale e locale. L'anima è più importante di un assessorato.
Il congresso vede la partecipazione dei portavoce provinciali eletti dagli iscritti. Con il nuovo tesseramento – che dovrà vedere devolvere il 75% degli introiti alla periferia – ci avvieremo alla stagione che entro il prossimo autunno dovrà vedere eletti anche i segretari regionali, per riconoscere appieno e in soli due anni dalla fondazione il valore della legittimazione dal basso di ogni nostro incarico. Ci saranno quindi risorse per aprire sezioni, per stampare manifesti, per comunicare
Penso che si debba inserire il principio di lealtà verso la comunità a cui si appartiene sin dal primo articolo del nostro statuto. Non si può strillare contro le massonerie e poi dar vita a settarismi interni: e' stato il destino infernale della destra italiana e non vogliamo ripercorrere quella strada.
Per militare in questa Destra occorre anzitutto esserne degni.
Il partito che metteremo in campo da lunedì prossimo dovrà attrezzarsi anche sul fronte della comunicazione. Sappiamo che avremo pochissimo spazio dai media tradizionali, ma questo non vuol dire arrendersi. Stiamo lavorando alla realizzazione di un quotidiano da spedire in abbonamento postale, dobbiamo soprattutto intensificare, migliorare, rafforzare il nostro presidio sulla rete. 10, 100, 1000 blog in tutta Italia per invadere le case in ogni luogo: ho già individuato un dirigente toscano che chiamerò ad occuparsi della rete informatica del movimento in ogni angolo del Paese. Il web dovrà essere una delle chiavi del nostro successo prossimo venturo.
Ma soprattutto dovremo sapere che cosa si comunica, dove si comunica. E qui dovrà emergere tutta la nostra capacità di puntare sul sociale, facendo rete con il vasto, vastissimo arcipelago dell'associazionismo senza rappresentanza: facciamoci trovare pronti alla domanda di chi chiede inclusione nella protesta popolare da portare finalmente nelle istituzioni e nel nome di una destra di governo capace di proposta politica e di coerenza con la propria cultura.
No, non saremo una forza moderatamente costruttiva. Per quello basta il Partito democratico di Veltroni. Non ambiamo nemmeno a rappresentare una forza estremista-antagonista, vittima della sindrome rancorosa dell'antiberlusconismo per mancata alleanza. No, ci candidiamo a rappresentare una forza intransigente che vedrà attrarre a se milioni di persone quando la creatura chiamata Pdl resterà orfana politica del suo fondatore.
Ci accuseranno di tutto, persino di fascismo, non sapendo che altro poter dire. Noi risponderemo loro chiedendogli di lasciare in pace il nostro rispetto per la memoria nazionale, rivendicando il diritto che spetta ad una forza che si dice democratica senza l'obbligo di dichiararsi antifascista.
Sarà sterile ogni richiamo passatista usato contro di noi. Non ci fermerà comunque nella affermazione più netta della libertà che risiede nella ricerca della verità, senza complessi nei confronti di chi e' altro da noi. Noi non rinnegheremo il passato dei nostri padri perché sappiamo di dover lavorare al futuro dei nostri figli.
ci attende una grande stagione di combattimento politico. Prepariamoci a viverla con entusiasmo e passione. Prepariamoci a veder finalmente sventolare in piazza le nostre meravigliose bandiere, facciamo vedere all'Italia il volto pulito della gioventù italiana, delle donne e degli uomini della destra. E' giunto il tempo di organizzare con cura la prima nostra grande manifestazione di piazza, che dovrà essere caratterizzata anzitutto dalla lealtà verso il popolo italiano, quella stessa che, contro ogni interesse di parte o personalistico, manifestammo all'inizio di quest'anno quando buttammo giù in Senato il governo di Romano Prodi anche con i voti dei tre senatori della destra. Debutteremo in piazza nel nome dell'orgoglio di esserci, dell'amore verso
E' la proposta che faccio al congresso. E spero di farla a nome del congresso da lunedì prossimo ai patrioti che vogliono un'Italia unita, giusta, solidale; ai cittadini che non tollerano più che i nostri crocefissi vengano gettati dalle scuole; ai giovani che non vogliono vedere l'ambiente egemonizzato dalle sinistre; ai contadini che vogliono tornare a lavorare la loro terra; agli artigiani che vogliono esser lasciati in pace; alle famiglie che hanno diritto ad una casa; ai pensionati che meritano rispetto e non disprezzo dalle istituzioni; ai precari che chiedono la stagione del merito anche per loro; al popolo che reclama acqua pubblica e non privatizzata; ai malati che chiedono migliore sanità pubblica e spesa per la ricerca.
Il 24 gennaio punteremo dritti verso una nuova Europa che sogniamo da ragazzi, quella delle Patrie e non dei mercati, dei diritti, della libertà, dell'identità. Sì, nasce il partito, si, nasce la destra. La destra che non ammainerà mai le proprie bandiere perché non ha mai smesso di amare chi ci ha insegnato che se un uomo non è disposto a rischiare per le proprie idee, o non vale niente lui o non valgono niente le sue idee!