martedì 16 dicembre 2008

DALLA SCONFITTA ABRUZZESE UN FORTE MONITO: CAMBIARE O SCOMPARIRE


Abbiamo perso. E la sconfitta elettorale in Abruzzo è la cartina di tornasole di un Partito che, come è apparso chiaro in occasione del Comitato Centrale a cui ho partecipato una decina di giorni fa, non ha ancora deciso cosa fare da grande.

Quando La Destra venne al mondo, ormai un anno e mezzo fa, l’obiettivo era chiaro, o almeno a me così era apparso.

Il Partito non nasceva per stare alla destra di AN, ma per prendere il posto di AN, che per motivi legati essenzialmente ad una questione di poltrone, aveva svenduto l’anima e dunque non appariva più in grado di rappresentare credibilmente nella coalizione di Centrodestra quel patrimonio di valori e di ideali che permeano buona parte dell’elettorato moderato, ma che Berlusconi neppure sa dove stiano di casa.

Ecco, questo era il progetto originario de La Destra: fungere da elemento riequilibratore, diventare la nuova destra di governo in una coalizione alternativa alle Sinistre, portandovi idee, entusiasmo, coerenza, moralità. Interpretando in buona sostanza l’ anima critica del nuovo Esecutivo che di lì a breve – era nell’aria - avrebbe inevitabilmente mandato a casa la traballante navicella retta da Romano Prodi.

Quello che accadde poi è cronaca nota a tutti. Il voltafaccia del Cavaliere, il veto di Fini all’apparentamento, la lunga traversava in un deserto sterminato di cui non si intravede la fine. La legittima sensazione, vissuta da molti di noi, di essere stati traditi.

E così, un po’ per volta, il Partito ha cambiato faccia e con essa linea politica, cominciando ad assomigliare sempre più ad una destra anti-sistema, qualcosa di molto più simile, per intenderci, alla Fiamma Tricolore o a Forza Nuova, che non a quella Destra moderna e democratica che aveva l’ambizione di diventare e alla quale molti, anche per questo, si erano rivolti all’origine con curiosità e interesse.

Intrecciando poi pericolose alleanze più o meno sotterranee con elementi dell’estremismo radicale (l’ingresso di Tilgher nell’Esecutivo Politico nazionale è sintomatico in questo senso),  che prima che portare voti e determinare consenso spaventano e preoccupano chi non è disposto, anche a destra, a svendere gli irrinunciabili valori della libertà e della democrazia sull’altare di improbabili e imbarazzanti derive neofasciste.

Oggi dunque il Partito si trova di fronte ad un bivio.

Da una parte, c’è la scelta dell’autoghettizzazione, assolutamente legittima, ma altrettanto sterile, in termini di prospettiva politica.

Dall’altra, quella di un movimento disposto a mettersi in gioco, a confrontarsi con il Pdl sul piano delle idee, competitivo sì, ma non pregiudizialmente chiuso al dialogo e al confronto, nella consapevolezza forte e chiara che il “nemico” sta sempre e comunque dall’altra parte, a sinistra.

Su questo si misurerà, di qui a breve, il futuro politico de La Destra e la sua capacità di attrarre consensi e suscitare speranze, piuttosto che di sfiorire nell’insignificanza di un orizzonte asfittico e senza sbocchi. 

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