Verrebbe voglia di dire: ridateci i vecchi partiti. Non soltanto quelli di recente formazione e repentina sparizione, ma quelli storici, della prima Repubblica per capirci. Al netto di tutti i difetti, ci offrivano almeno la consolazione, se così possiamo esprimerci, di riconoscerci in qualcosa che, per quanto imperfetta e discutibile, era pur sempre una casa politica, magari una capanna, comunque un rifugio. E adesso? Adesso siamo esposti alle interperie. Sotto la retorica del nuovo c'è il vuoto. E la politica mostra la sua impotenza di fronte a tutti i poteri che la ricattano, la tengono sotto schiaffo, la soggiogano con le loro proterve richieste. Dopo quindici anni dalla decomposizione del sistema dei partiti tradizionali, il cambiamnto non si vede ancora. Si dice, e talvolta fingiamo di chiederci, che il bipolarismo è una grande conquista e dimostra la vitalità della nostra democrazia nel rinnovarsi. Ma quando mai?
Auto-ingannandoci siamo perfino in grado di credere alle fandonie che ci raccontiamo tanto per tener quiete le nostre coscienze. Così abbiamo dato vita a cartelli elettorali che chiamiamo partiti, i quali a tutto assomigliano tranne che a quelle vecchie, care ed ingiallite formazioni politiche le cui classi dirigenti, se non altro, venivano selezionate quasi sempre attraverso la partecipazione popolare.
Se volgiamo lo sguardo verso sinistra lo spettacolo è osceno. Il Partito Democratico non è neppure la parodia di quel che prometteva di essere. Ha un leader indeciso a tutto e di ogni cosa inconsapevole, al punto che i giornali gli raccontano il giorno dopo quel che accade in casa sua. Tutti si erano accorti che Napoli era divenuta politicamente una fogna a cielo aperto, ma non Veltroni che giocherellava con le sue fantasie spacciandole per "bella politica". A tacer dell'inconsistenza del progetto innovatore che avrebbe dovuto trasformare l'Italia. In poco meno di un anno il Pd ha perso dieci punti percentuali, regalati quasi tutti al sodale Antonio Di Pietro, non si sa perchè "apparentato" elettoralmente tanto per fargli guadagnare una quarantina di seggi in Parlamento. Ma Veltroni è un genio della politica e non lo si può discutere.
Sull'altra sponda si dice che si stia formando il PdL, creatura berlusconiana dall'incerto avvenire a dire la verità, visto che non uno straccio di discussione ha accompagnato la costruzione di questo soggetto le cui ambizioni sono ignote perfino ai dirigenti più autorevoli ed è come un segreto esoterico custodito nelle mani di pochi eletti designati dal Cavaliere. Che cosa ne sarà di Forza Italia dopo la mega kermesse che incoronerà Berlusconi leader indiscusso del PdL, senza nessun inutile e fastidioso rito democratico come una votazione a scrutinio segreto, per esempio? E cher esterà di An, della sua storia tutt'altro che irrilevante, della sua cultura, della sua presenza intrecciata alle vicende del dopoguerra? Non è dato saperlo. Così come non sappiamo in che modo verranno costruite le classi dirigenti centrali e periferiche del nuovo partito. Le perplessità che in An si vanno manifestando denotano inquietudini che non sarà facile tenere a bada. E più d'uno osserva che se il Pd è nato da una "fusione a freddo", il PdL potrebbe formarsi al buio. Con quali prospettive è fin troppo facile intuirlo.
Prendiamone atto una volta per tutte: in Italia il bipolarismo poteva attecchire soltanto se le vecchie bandiere fossero state ammainate in nome di nuovi e più generosi progetti. Invece, dietro le nuove sigle hanno continuato a prosperare le vecchie idiosincrasie. A sinistra si fanno la guerra post-comunisti e post-democristiani, con l'aggiunta di residui di altri partiti fatti e disfatti in una notte. A destra si litiga, come un tempo, su quanti ministri a me e quanti a te, mentre si sta facendo addirittura il partito unico. Ed ognuno dei soggetti interessati rivendica la sua quota, proprio come quando imperava il manuale Cencelli (peraltro mai abrogato).
Cosa dobbiamo attenderci? L'interrogativo è disperante perchè non si sa dare una risposta. Prezzolini direbbe: l'Italia è finita, ecco quel che resta.
Gennaro Malgieri
tratto dal quotidiano Libero
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