martedì 21 aprile 2009

NASCE IL POLO DELL'AUTONOMIA


Autonomia territoriale, politica, culturale sarà la parola d’ordine che accompagnerà l’alleanza stipulata per le prossime elezioni europee dal Partito Pensionati, La Destra, Alleanza di Centro e dal Mpa.
L’intesa è stata raggiunta su un progetto politico siglato dai movimenti per dare “valore politico ad una battaglia elettorale che non intendiamo ridurre a questione tecnica, ma che vogliamo far entrare nell’agenda politica contro ogni logica di casta che si autoperpetua”.

In una politica caratterizzata sempre più da metodi oligarchici e da parlamentari nominati nel nome di un bipartitismo forzato e lesivo di ogni principio democratico, il valore dell’autonomia diventa di per sé il più forte con cui caratterizzare le coscienze degli uomini e dei movimenti che non intendono rinunciare ai loro tratti identitari e al loro radicamento territoriale.
Sarà un’alleanza caratterizzata dalla volontà di riequilibrare il rapporto tra Nord e Sud del Paese, e tra economie avanzate e aree deboli dell’Europa e dell’Italia, nel nome della coesione e della vera unità del Paese.

Con la legge elettorale varata alla vigilia delle elezioni, si è tentato di dare un colpo mortale alle aspirazioni dei territori che cercano e trovano bandiere per il riscatto.
I nostri movimenti si uniscono per dare voce a quei milioni di cittadini traditi nella loro rappresentanza da una politica sempre più centralista e puntano adun’Europa in cui i cittadini contino finalmente più delle tecnocrazie di Bruxellesattraverso l’esercizio della legittimazione democratica; ad un’Europa che sia capace di rivedere i discussi meccanismi derivanti dal trattato di Lisbona per rafforzare l’Europa dei popoli e il processo autenticamente democratico di decisione. Ad un’Europa capace di esaltare la proprie radici cristiane; ad un’Europa finalmente capace di tutelare l’impresa nazionale e continentale dall’aggressione senza regole delle nuove economie; ad un’Europa che esalti le identità delle Regioni”.

Parimenti, ci impegniamo nella costruzione di un’Europa autenticamente capace di solidarietà e non egoista, aperta a combattere la disperazione del Terzo Mondo attraverso l’apertura di una politica finalmente proiettata ad un massiccio piano di investimenti nell’area del Mediterraneo. “Aiutarli in casa loro”, deve essere l’impegno della nuova Europa affinché il tema drammatico dell’immigrazione possa finalmente uscire dall’agenda della sicurezza planetaria. Sostegno alle economie del sud del mondo, pretesa di rispetto dei doveri in casa nostra per chi chiede e ottiene accoglienza in Italia e in Europa.

Al Parlamento europeo, Pensionati, La Destra, Alleanza di Centro, Mpa punteranno a costruire un rapporto di collegamento con le forze politiche che fanno dell’autonomia il loro riferimento culturale e politico, contro ogni condizionamento di carattere finanziario che da troppo tempo alberga a Bruxelles e privo di ogni respiro sociale.
I risultati elettorali dello scorso anno ci consentono già di poter prevedere di superare agevolmente ogni sbarramento, ma la nostra ambizione è ancora più elevata ed è quella di costruire il polo dell’autonomia che non intenda fermarsi ad una sola consultazione degli elettori. Starà agli italiani valutare come premiare questo nostro sforzo di aggregazione.

La lista fa appello a tutti i gruppi, movimenti, liste e associazioni locali ed autonome che rischiano di essere cancellati dalla scena politica affinché possano ritrovarsi e battersi per la libertà e per l’Autonomia.

domenica 19 aprile 2009

MARCO LOBERTI, CANDIDATO A SINDACO DE LA DESTRA A BONDENO

Marco Loberti e Davide Verri in occasione della cena elettorale tenutasi di recente a S. Bartolomeo in Bosco

Marco Loberti, stimato imprenditore di Bondeno, sarà il candidato sindaco de La Destra in occasione delle prossime elezioni amministrative che si terranno nel capoluogo matildico. L'impegno di Loberti e dell'interno Partito sarà quello di rappresentare con convinzione, coerenza e lealtà l'unico credibile elemento di continuità con la brillante esperienza amministrativa del Sindaco uscente Davide Verri, che La Destra ferrarese sosterrà con convinzione ed entusiasmo nella sua corsa alla conquista della Presidenza della Provincia. 

domenica 12 aprile 2009

BUONA PASQUA!!!



E’ una Pasqua di dolore e tutti abbiamo il cuore gonfio di dispiacere per quanto successo in Abruzzo. Ma abbiamo anche visto di che straordinaria e appassionata mobilitazione è capace il popolo italiano. Sono questi i momenti in cui siamo orgogliosi di appartenere a questa comunità nazionale.

Pasqua di speranza, quindi, anzitutto per chi ha perso i propri cari, i propri beni e che deve poter riprendere il cammino della vita. Noi saremo al loro fianco anche quando i riflettori saranno spenti: ci ripromettiamo di andare presto in regione, a verificare se alle promesse – che comunque apprezziamo – seguiranno i fatti – che temiamo….

A tutti voi, amici del blog, voglio augurare una giornata di serenità, in attesa della battaglia che ci attende per le elezioni Europee e le amministrative per chi vi sarà impegnato nel proprio territorio.
Questa che viene sarà la settimana in cui si deciderà tutto sulle alleanze e davvero il buon Dio ci accompagni a fare le scelte giuste. Siamo mossi solo dalla volontà di far proseguire il cammino de La Destra con i compagni di strada che saranno disponibili a dialogare con noi.

Non è il momento dei dubbi, ma quello del confronto nel Paese. E in una giornata come quella odierna, vogliamo essere certi di poter rappresentare quel sentimento di spiritualità che è tipico della fede cristiana e che non deve veder smarrire le proprie radici in un laicismo che sembra aver contaminato mezzo mondo.
Siamo una forza di fede e per questo andiamo avanti. Perché non abbiamo bisogno di chiedere ospitalità a nessuno, né di mendicare seggi ad altri. Li vogliamo conquistare con la forza del nostro popolo.
Da martedì si ricomincia.

martedì 7 aprile 2009

PRIMO CONVEGNO DELLA DESTRA REGIONALE A BRESCELLO SU GIOVANNINO GUARESCHI


Malgrado questo merito non gli sia stato riconosciuto dalla cultura ufficiale, Guareschi è senz’altro  lo scrittore che meglio di altri seppe, nei tempi non facili nei quali visse e scrisse, cogliere l’anima di questo strano Paese, l’Italia, trasformando gli uomini comuni dei suoi romanzi e dei suoi racconti in figure paradigmatiche. Ci sono voluti anni e tanta ostinazione da parte di appassionati studiosi come Alessandro perché si potessero fare su di lui tesi di laurea e studi accademici. Ma se la critica e il “baronato” progressista e benpensante ancora storce il naso di fronte al suo nome, Guareschi, a cent’anni dalla sua nascita e a quaranta dalla sua morte, è più vivo e presente che mai nel cuore di milioni di lettori e di spettatori.

Riscoprire oggi Guareschi vuol dire riscoprire l’uomo e tutta la sua opera, senza fermarsi necessariamente al semplicismo della versione cinematografica. Dai numerosi racconti del ciclo di Mondo Piccolo (quelli di Peppone e Don Camillo) ai romanzi dell’anteguerra e del dopoguerra, che ci danno la possibilità di coglierere quell’Italia vera, profonda, del Novecento, che non sta nei prodotti letterari e nelle elucubrazioni astratte partorite dai salotti metropolitani, dalle conventicole intellettuali legate agli “ambienti che contano”, che pure fanno mostra di sé nei manuali scolastici, ma è magistralmente descritta nelle storie guareschiane.

Storie autentiche eppure piene di incanto fiabesco, espressione di poesia come di impegno civile, ricche di un umorismo mai surreale, mai venato di cattivo sarcasmo. Storie che – come scrive Paolo Gulisano nel suo libro “Quel cristiano di Guareschi” – “sono espressione di quel riso buono che nasce dalla compassione per ciò che combina l’uomo, nella sua limitatezza e nella sua goffaggine, affannandosi nelle vicende quotidiane, magari finendo per fare del mare agli altri o a se stesso.”

Il pregiudizio che su Guareschi ha gravato per un quarantennio era motivato dal suo essere stato un autore “schierato”, e “schierato” male, agli occhi della cultura dominante. Un reazionario, un seguace del trinomio “Dio, patria e famiglia”. Un concetto però, quest’ultimo, che va bene, riferito a Guareschi, solo se inteso come espressione di virtù umane, civile e religiose, e non viceversa se interpretato nella sua versione idolatra, che trovò allora e che trova ancora oggi terreno fertile nel fondamentalismo, nel nazionalismo, nel razzismo esclusivista, così lontano dal modo di concepire e di vivere l’esistenza proprio di Giovannino.

Dio, patria, famiglia. La dimensione religiosa, l’impegno civile, il valore irrinunciabile degli affetti domestici.

La dimensione religiosa. Leggendo, ad esempio, i racconti di Mondo piccolo, ci si accorge che c’è, al di là delle storie e dei personaggi, un altro protagonista, un Soggetto divino, il Dio misericordioso, padrone degli eventi e del cuore, che Guareschi aveva incontrato nell’esperienza drammatica della sofferenza già nei lager tedeschi dove era stato internato come militare italiano. Quella Divina Provvidenza che continua, nonostante tutto, a governare la storia individuale e sociale in una prospettiva di salvezza e di redenzione e che fa dire a Guareschi, sul Candido del 7 dicembre 1947: “Noi non apparteniamo a nessun ismo. Abbiamo un’idea, sì, ma non finisce in ismo. La cosa è molto semplice: per noi esistono al mondo due idee in lotta: l’idea cristiana e l’idea anticristiana. Noi siamo per l’dea cristiana e siamo perciò con tutti coloro che la perseguono e soltanto fino a quando la perseguono. Quando, a nostro modesto avviso, qualcuno si distacca da questo principio, chiunque sia (fosse anche il nostro parroco) noi diventiamo automaticamente suoi avversari…Alla fine, magari, ci troveremo con sei lettori in tutto”. Perché se un cristiano non è straniero alla mentalità dominante, significa che è servo del potere del momento, di uno dei tanti déi tirannici che opprimono l’uomo, sia esso l’Imperatore o lo Stato o il Partito o la Classe o la Razza o la Scienza o il Progresso o il Denaro.

L’impegno civile. Fu l’impegno che lo portò, fra l’altro, dopo la comune battaglia anticomunista che precedette le prime elezioni libere del dopoguerra, allo scontro con De Gasperi, conseguenza del disamoramento di Giovannino per lo statista, iniziato poco tempo dopo il grande successo del 18 aprile 1948. L’Italia che la Democrazia Cristiana stava forgiando non era quella che lo scrittore si aspettava. La ripresa economica, necessaria e indispensabile, stava provocando come effetto collaterale il sorgere di quei fenomeni che avrebbero messo salde radici nella Prima Repubblica e che sono arrivati amplificati fino ai giorni nostri: affarismo, corruzione, clientelismo, favoritismo. Effetti inevitabili del processo di sviluppo? Guareschi di queste scuse no ne voleva sapere. La sua moralità cristallina non contemplava nel proprio vocabolario la parola “compromesso”: il male è male, punto e basta. Non è lecito rubare, truffare, appropriarsi indebitamente, sfruttare. “Un uomo di difficili costumi”, disse di se stesso. E per questo pagò – come immagino ci spiegherà meglio Alessandro fra un attimo – con il carcere, nel quale scontò, primo giornalista nella storia repubblicana, ben 409 giorni di ingiusta detenzione.

E per finire, il valore irrinunciabile degli affetti domestici. C’è un ulteriore Guareschi, da riscoprire. E’ lo scrittore che più di ogni altro ha rivolto la propria attenzione alla famiglia. Una famiglia che, per Giovannino, è fatta di ruoli, di responsabilità, di amore, di regole, che vengono infrante, riaffermate, superate, riscritte. E’ fatta di litigi, di baruffe, di riconciliazioni, di musi lunghi, di tenerezze, di solidarietà e soprattutto di fedeltà. L’amore tra i genitori, tra questi e i figli, tra i fratelli, è chiassoso, appassionato, volubile, mutevole, ma fedelissimo. Il significato e il valore della famiglia Guareschi lo aveva imparato sul campo, dai propri genitori. Un modello educativo che lo portò a scontrarsi persino con ambienti clericali, che portavano avanti l’immagine edulcorata del cristianesimo delle chitarre elettriche che si diffuse largamente negli anni immediatamente successivi al Concilio; con chi sviluppava il concetto di pluralità di modelli familiari intesi come semplici aggregati di cittadini che si autodeterminano secondo criteri squisitamente contrattualistici; che lo portò a scrivere pagine importanti contro le ipotesi eugenetiche ed eutanasiche che già allora facevano capolino, e contro le quali Guareschi scrisse pagine intense di un’attualità veramente sconcertante.

Questo, in pillole, il Guareschi che anch’io, come tanti, ho imparato ad amare. Negli ultimi mesi della sua vita, di fronte al desolante spettacolo offerto dalla società italiana dell’epoca, scriveva, con una diagnosi acuta che sa di profezia: “Ogni giorno di più mi accorgo come sia vana, inutile cosa lottare da galantuomini contro la canaglia organizzata. Purtroppo questi sono i giorni dei falliti, degli uomini senza idee; è l’era dei demagoghi, dei politicanti, degli ipocriti che, nel nome della giustizia sociale, stanno perpetrando la più orrenda ingiustizia: spersonalizzare l’individuo, ucciderlo per creare quel “cretino medio” alla cui mentalità la radio, la televisione e l’altra propaganda governativa vanno ogni giorno adeguando i programmi”.  

Una tristezza però, che non fu mai disgiunta dalla speranza che lo accompagnò fino all’ultimo giorno e che mi sento di poter sintetizzare con quella bella frase che compare nel finale di un film del ’63, La rabbia, che Guareschi contribuì a realizzare: “Una fiamma scalda ancora il nostro vecchio cuore di terrestri. E in noi è ancora più forte la speranza che la paura. Grazie a Dio”